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Il giudice poteva evitare l’ineleggibilità di Le Pen. Ma ha voluto fermarla

Un colpo alla democrazia mirato e contestato persino dai principali avversari dalla leader del Rn. Mélenchon: “La decisione di rimuovere un rappresentante eletto dovrebbe spettare al popolo”

le pen © annastills tramite Canva.com
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Quattro anni di carcere, di cui due con la condizionale e gli altri con il braccialetto elettronico, il pagamento di una multa di 100 mila euro e soprattutto cinque anni di ineleggibilità. La sentenza nei confronti di Marine Le Pen continua a fare discutere e non potrebbe essere altrimenti. La leader del Rassemblement National (Rn) è stata sanzionata nell’ambito del processo per la presunta frode degli assistenti parlamentari Ue e la presidente dell’undicesima camera specializzata in crimini finanziari – Benedicte de Perthuis – ha affermato che “pareva necessario assortire le pene di ineleggibilità con l’esecuzione provvisoria” perché “si tratta di garantire che gli eletti, come tutti gli altri cittadini, non beneficino di un regime preferenziale”.

Un colpo alla democrazia secondo molti, tant’è che la sentenza è stata criticata aspramente anche dai rivali della Le Pen, a partire da Jean-Luc Mélenchon, fondatore di La France insoumise: “La decisione di rimuovere un rappresentante eletto dovrebbe spettare al popolo”. Anche il premier Francois Bayrou – certamente non un pericoloso estremista – si è invece detto “turbato” dalla sentenza, mentre i Republicain, con Francois-Xavier Bellamy, hanno affermato che la data di ieri “resterà un giorno molto cupo per la democrazia francese”.

Reazioni comprensibili e di buonsenso, considerando che la Francia si vanta di essere “la patria della Dichiarazione dei diritti dell’uomo”. Evidentemente ieri non è stata una grande giornata per i propagandisti di questo genere. Perché per la leader del Rn non sembra valere la presunzione di innocenza fino alla fine del terzo grado di giudizio. Una sentenza che rischia di privare milioni di francesi di una candidata presidente che sarebbe partita con i favori del pronostico in base ai sondaggi. Eppure a Parigi un giudice di primo grado ha la facoltà di poter lasciare un’impronta indelebile sulla politica.

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Entrando nel dettaglio della sentenza, la formula è quella dell’”exécution provisoire“, ossia dell’esecuzione provvisoria di ineleggibilità, che preclude la possibilità alla Le Pen di correre per l’Eliseo nel 2027. La motivazione delle toghe è la seguente: “per evitare il rischio di recidiva”, e cioè che il reato venga commesso di nuovo, e il possibile “turbamento dell’ordine pubblico” causato dal fatto che “una persona già condannata in primo grado è candidata alle elezioni presidenziali”.

In passato misura facoltativa, dal 2016 l’ineleggibilità è diventata prassi obbligatoria l’incriminazione per appropriazione indebita di fondi pubblici. A stabilirlo è l’articolo 432-17 del Codice penale, modificato dalla legge Sapin II del 9 dicembre 2016, che riguarda la trasparenza, la lotta alla corruzione e la modernizzazione della vita economica. Come evidenziato dal Corriere, la legge ha reso obbligatoria la pena accessoria di ineleggibilità per chiunque venga condannato per reati contro la probità, e la sua entrata in vigore copre anche – seppur per un breve periodo di circa venti giorni – i fatti oggetto del processo che si è appena concluso in primo grado. Il giudice ha la possibilità di annullare la sanzione di ineleggibilità, considerando le circostanze del reato e la personalità del condannato, ed è questo il punto: i giudici hanno deciso scientemente di non applicare questa possibilità a Marine Le Pen. Pur avendone la possibilità.

Il tutto ha il sapore di una Le Pen sconfitta via giudiziaria e non alle urne. La lamentela è arrivata anche da sinistra, come precisato in precedenza. Nessuno del resto aveva invocato la sua ineleggibilità prima della sentenza, anzi, nessuno si era mai sognato di fare polemiche sulla sua eventuale candidatura all’Eliseo. Il dibattito non riguarda il caso della presunta frode, che comunque sarà oggetto di appello, ma l’esecuzione provvisoria dell’ineleggibilità. I giudici potevano applicarla, ma anche no. E l’hanno applicata consapevoli dell’impatto politico che avrebbe avuto. Senza dimenticare l’altro lato della medaglia: una sentenza come questa crea frustrazioni, risentimento e rabbia. Non è forse questo un fattore che “turba l’ordine pubblico”? E chi alimenterà il processo contro la politicizzazione della giustizia?

I precedenti non aiutano. A inizio anno un altro partito politico francese è stato accusato di appropriazione indebita di fondi pubblici, parliamo del Movimento democratico centrista (MoDem), in coalizione con il partito Renaissance del presidente Emmanuel Macron. Le toghe hanno stabilito un risarcimento di 300 mila euro per aver utilizzato i fondi dei deputati per finanziare il partito. A differenza di quanto accaduto con la Le Pen, il leader del partito – il già citato Bayrou – è stato assolto.

Con grande calma e buonsenso, la Le Pen non ha alimentato questa spirale pericolosa ma ha deciso di reagire, sia per motivi giudiziari che per motivi politici. La speranza è quella di correre per l’Eliseo nel 2027. Secondo Le Figaro, stando ai termini abituali, il processo di secondo grado potrebbe tenersi almeno tra un anno e saranno necessari ulteriori tre mesi per la pronuncia del verdetto, ossia poco prima del voto presidenziale del 2027. In appello, la politica potrebbe sfuggire all’ineleggibilità immediata, consentendole in teoria di candidarsi all’Eliseo al fotofinish. Affinché ciò avvenga si impongono tempistiche serrate e le condizioni di una candidatura sembrano complicate.

C’è anche da dire che la Le Pen è stata condannata come lei avrebbe un tempo richiesto. Sì, perché in passato la leader del Rn invocava l’ineleggibilità “a vita” per tutti gli esponenti politici condannati, a prescindere dal reato. In un video che sta rapidamente circolando sui social francesi, si vede la politica nel 2013, durante una trasmissione su Public Sénat, esprimere il suo pensiero: “Quando impareremo la lezione e introdurremo il divieto di eleggibilità a vita per chiunque sia stato condannato per atti compiuti durante o in relazione al proprio mandato?”. E ancora: “Ho sentito il presidente Hollande dire che bisognerebbe rendere ineleggibili a vita i condannati. Sono d’accordo, è anche parte del mio progetto presidenziale. Ma lui si riferisce solo a corruzione e frode fiscale, e perché non gli altri reati? Perché non per favoritismi, appropriazione indebita di fondi pubblici, o impieghi fittizi?”. Valga da esempio: la politica che delega alla magistratura il compito di decidere chi può essere candidato e chi no, basandosi solo su sentenze di primo grado, ha un pezzo di colpa. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Franco Lodige, 1 aprile 2025

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