Per Giuseppe Conte, per Luigi Di Maio, per Matteo Salvini è arrivato il momento di alzare il piede dall’acceleratore, di piegarsi ai voleri di Bruxelles, detto in chiaro: capitolare. Noi vecchi piemontesi colti (in senso relativo, non certo assoluto) usiamo un termine affettuoso, giovnòt, per indicare dei giovani pieni di iniziative che si lanciano in avventure spesso più grandi di loro, con il rischio di andare a sbattere. Questi, spesso, hanno ragione da vendere ma sbagliano modi e tempi, soprattutto sottovalutano i loro nemici: li considerano degli avversari invece sono dei bastardi. Ve lo dice un apòta, politicamente non coinvolto in queste vicende, che si limita a guardare il futuro in una prospettiva di lustri, non di anni.
Cari giovnòt fingete pure di negoziare con gli eurocrati, ma almeno a voi stessi ditevelo brutalmente: “dobbiamo cedere, dobbiamo cedere”. Non dovete vergognarvi di fare un atto che ora vi sembra di debolezza. In realtà, non lo è, ma sarà di forza, se i cittadini che vi hanno votato capiranno che, a volte, i ricatti si devono subire per poi un giorno, ricuperare la propria dignità e decidere se perdonare o vendicarsi.
I giovnòt devono cedere, proprio perché hanno vinto nell’urna (l’unica cosa che conta in democrazia) e cedere per rivincere a maggio, mentre i membri della Commissione sono finti tecnici, in realtà politici trombati (da sempre, ogni paese manda a Bruxelles come Commissari il peggio del peggio), che hanno addirittura perso il supporto popolare nel proprio paese (informatevi come sono valutati in patria Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis). Ovvio che la frustrazione li renda umanamente cattivi. Non fateci caso, è diventata la loro cifra.
Per capire l’ottusità negoziale degli eurocrati, bisogna mettersi nei panni di costoro, e pure nei panni dei due padroni dell’Europa, Emmanuel Macron e Angela Merkel, e di tutto il coro di “competenti” che gliela e se la cantono e suonano, seduti nei salotti del Ceo capitalism. Osservateli, ormai hanno un sorriso tirato, hanno atteggiamenti sempre più finto-muscolari, eppure stanno per diventare i grandi sconfitti di un modello culturale-politico-economico che in un quarto di secolo ha dimostrato il suo fallimento, impoverendo poveri e classe media. In casa propria i nemici dell’Italia sono bloccati nei loro palazzi del potere. Osservate la Francia dell’enarca Macron, bastano poche migliaia di cittadini che si rivoltano perché non sono in grado di pagare una tassa di 6,50 centesimi destinata (sic!) ai ricchi per comprarsi la Tesla, e loro perdono la testa.
Al riparo dei miei interstizi svizzeri, mi accontento di poco: ho passato un fine settimana molto divertente, osservando i piani alti e altissimi di Twitter, sui quali è caduto un silenzio imbarazzante e imbarazzato su Parigi. Curioso che la polizia di Macron per appena un migliaio di gilet gialli abbia usato gli stessi attrezzi (contestati) di Recep Erdogan del quale proprio lui diceva peste e corna: agenti antisommossa trasformati in manganellatori spietati, cannoni ad acqua (vietati nei paesi liberali), lacrimogeni a pioggia.
Cari giovnòt i vostri nemici sono oggettivamente dei poveretti, ma guai sottovalutarli, dominano per ora tutti i gangli vitali del sistema, hanno messo a punto un modello sciagurato ma impeccabile con una strategia come quella applicata nella “campagna” di Grecia: “Distruzione del tessuto sociale e della cultura del paese attraverso loro agenti in chiaro e sotto copertura che hanno gestito il flusso del denaro, quindi della vita”. Giustamente Alexis Tsipras, in un momento di lucidità (in questi anni Bruxelles lo ha lobotomizzato) vi ha dato un consiglio saggio: “Cedete subito, poi sarà peggio”. Ha ragione, parla perché sa, lui l’ha provato, l’ha accettato, e guardate com’è ridotto: politicamente è uno zombie.
Siete tutti e tre dei bravi giovnòt ma non all’altezza per competere con costoro, prendetene atto. Incassate con eleganza questa sconfitta, spiegate sinceramente ai vostri elettori che dovete fare non uno ma due passi indietro, perché ve lo impone la cupola vincente. Un leader è tale se sa fermarsi quando capisce che non può vincere. Quella che oggi vi pare una sconfitta (e lo è) un giorno potrebbe essere valutata come una geniale mossa strategica. Primum vivere, deinde philosophari. Prosit!
Riccardo Ruggeri, 26 novembre 2018