di Suor Anna Monia Alfieri
Siccome non so ricamare, mi ostino a scrivere. L’ostinazione, ovviamente, nasce da un’idea, quella della scuola libera. Soprattutto in questa fase in cui, mentre il governo Draghi si dedica alla gestione dell’ordinaria amministrazione, si accendono i motori della campagna elettorale e si studiano alleanze in vista delle urne, credo sia giusto far sentire, attraverso la mia, la voce dei tanti cittadini onesti che, stanchi di certa politica, desiderano un cambiamento nella società. E se deve esserci un cambiamento, questo deve passare necessariamente attraverso la scuola. È un messaggio che la società dei buoni deve far giungere alla politica. Questo è il tempo opportuno. Ecclesia semper reformanda, si dice. Bene, la scuola aspetta da anni la sua riforma storica, ossia quella del riconoscimento della libertà di scelta educativa. Manca solo l’Italia all’appello.
Abbiamo parlato del costo medio studente, delle modalità con cui i Gestori delle scuole pubbliche paritarie affrontano le difficoltà economiche. Oggi voglio ritornare a puntare l’attenzione sul Family Act.
Cos’è il Family Act? Esso è una legge delega al Governo che, agli artt.1 e 2, evidenzia importanti aperture verso i temi dell’autonomia, della parità scolastica e della libertà di scelta educativa. Eccone il primo articolo:
1. La presente legge contiene disposizioni di delega al Governo per l’adozione, il riordino e il potenziamento di disposizioni volte a sostenere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie, per contrastare la denatalità, per valorizzare la crescita armoniosa e inclusiva dei bambini e dei giovani, per sostenere l’indipendenza e l’autonomia finanziaria dei giovani nonché per favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro di entrambi i genitori e per sostenere, in particolare, il lavoro femminile.
In particolare, poi, si afferma il valore sociale delle attività educative e di apprendimento, anche non formale, dei figli, attraverso il riconoscimento di agevolazioni fiscali, esenzioni, deduzioni dalla base imponibile o detrazioni dall’imposta sul reddito in relazione alle spese sostenute dalle famiglie ovvero attraverso la messa a disposizione di un credito o di una somma di denaro vincolati allo scopo.
Musica per le nostre orecchie! È facile comprendere lo storico passaggio: si riconoscono i compiti educativi delle famiglie (e il ruolo di servizio delle scuole) con appositi contributi, fino ad assegnare “somme di denaro vincolate” per quanti non pagano tasse, ossia i ceti più svantaggiati. Nei decreti delegati del Governo, si potrebbe specificare che siano riconosciute le spese sostenute dalle famiglie per la frequenza delle scuole paritarie. Questo in piena coerenza con la legge Berlinguer che, riconoscendo la “parità alle scuole paritarie” stabilisce che “Al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie (…) lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento (…) da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante l’assegnazione di borse di studio di pari importo … prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate” (art.9 – 11 legge 62 – 2000).
La borsa di studio di cui si parla nella legge 62/2000 può essere intesa come il “costo standard per allievo”, la quota che lo Stato assegna alle famiglie per la scuola dei figli: ciò non costituisce una sottrazione di fondi alle scuole statali, ma una parziale compensazione del risparmio di cui fruisce lo Stato per la non frequenza delle scuole pubbliche statali. Si tratta, come si può vedere, di una concatenazione logica di argomentazioni giuridicamente fondata.
L’articolo 2 conferma tutto questo:
Nell’esercizio della delega di cui al comma 1 del presente articolo, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 1, il Governo si attiene ai seguenti ulteriori princìpi e criteri direttivi: b. prevedere misure di sostegno alle famiglie mediante contributi destinati a coprire, anche per l’intero ammontare, il costo delle rette relative alla frequenza dei servizi educativi per l’infanzia, secondo i requisiti di accreditamento previsti dalla normativa vigente, e delle scuole dell’infanzia”.
È evidente che per l’infanzia si avvia la procedura di aiutare le famiglie a pagare le rette e non a erogare i fondi alle scuole. Questo principio era già stato affermato dal Decreto Legislativo 65/ 2017, agli articoli 9 e 12 ai quali rimando.
Siamo in attesa dei decreti legislativi attuativi (in tempo utile d’altronde in modo responsabile il Governo continua a lavorare) per comprendere la portata di quella che appare la soluzione per garantire il diritto di apprendere che ogni studente ha, oltre ogni discriminazione economica.
Numerose le fatiche che le famiglie e le nostre scuole vivono e debbono affrontare ma la prospettiva del Family Act e dei fondi del Pnrr, che servono per dare un futuro ai nostri ragazzi, ci impegna a salvaguardare quel pluralismo che risulta sempre più minacciato, soprattutto nelle aree economicamente più fragili.
Roma eterna, Vaticano sempiterno. Diceva così papa Pio XI per lamentarsi delle lungaggini curiali. Potremmo usare la stessa espressione nel campo della scuola. Da troppi anni attendiamo la riforma delle riforme. Ormai ci siamo. I presupposti giuridici ed economici ci sono tutti e costituiscono una messe abbondante. Occorre procedere lungo il cammino intrapreso. Gli italiani se lo aspettano e si aspettano dalla classe politica un nuovo atteggiamento, quello dell’umiltà, di chi sa che deve compiere il proprio dovere perché gode della fiducia dei cittadini e tale fiducia, una volta ottenuta, va mantenuta.
Questi sono i frutti dell’umiltà: è essa che ci sostiene contro la nostra debolezza, facendocela conoscere e ricordare ogni momento (…) E nelle avversità, le consolazioni sono per l’animo umile, che si riconosce degno di soffrire, e prova il senso di gioia che nasce dal consentire alla giustizia. (A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica),