Confedilizia lo diceva da mesi: la storia tranquillizzante della revisione del catasto come “fotografia” asettica dell’esistente non sta in piedi. Adesso, però, a dichiararlo è lo stesso esecutivo, che ha accompagnato l’articolo 6 del disegno di legge delega per la riforma fiscale con una relazione (la “Analisi Tecnico-Normativa” del ministero dell’Economia) in cui ammette che esso è “coerente” con le raccomandazioni dell’Unione europea che chiedono all’Italia di “compensare” la riduzione della tassazione sul lavoro con “una riforma dei valori catastali”. Così ammettendo, dunque, che la revisione del catasto serve a inasprire la già spropositata tassazione su case, negozi e uffici (51 miliardi di euro l’anno, di cui 22 solo dall’Imu).
Del resto, basta leggere la norma, invece di accontentarsi degli slogan, per comprendere che si tratta di un testo tutt’altro che asettico e di impronta fortemente patrimoniale, la cui applicazione porterebbe a un incremento certo di imposizione per tutti gli immobili, prime case incluse.
Lo scorso 30 giugno il Parlamento aveva escluso il catasto dalle linee guida per la riforma fiscale, sulle quali il governo ha invece detto (anche nella Nadef) di essersi basato. A quanto consta, a ottenere tale esclusione erano stati, con l’appoggio dell’opposizione di Fratelli d’Italia, due partiti di maggioranza, Lega e Forza Italia. Logica vorrebbe che – anche alla luce di questa formale ammissione del governo – l’intero centrodestra pretendesse lo stralcio della revisione del catasto dalla riforma fiscale.
Giorgio Spaziani Testa, 27 novembre 2021