La storia del Covid-19 ruota, fin da quando è iniziata, intorno a tre concetti e tre fatti: governo, vita, libertà. L’effetto-sorpresa del virus, che pur circolava dall’autunno scorso, ha indotto l’esecutivo ad assumere una decisione drastica del tipo “a mali estremi, estremi rimedi”. La decisione è stata questa: assicurare la vita eliminando la libertà attraverso un governo assoluto. Fin da subito, insieme con pochissime altre mosche bianche, ho protestato e criticato mostrando che l’eliminazione della libertà avrebbe avuto un effetto contrario a quello desiderato: non guarigione ma malattia, non sicurezza ma insicurezza.
Infatti, chi pensa che la vita possa essere resa sicura tramite un governo totale ritiene che la vita sia immune ma, al contrario, siccome la vita per sua natura non è immune accade che non solo non si riesca a immunizzarla ma, eliminando la libertà, si perda anche quel po’ di sicurezza che proprio la democrazia liberale con il suo governo temperato garantisce. Insomma, il perfetto marchingegno totalitario tipico del Novecento che, mutatis mutandis, si è ripresentato all’inizio del nuovo millennio su scala mondiale, con caratteristiche tecnocratiche e sul terreno sanitario. Una trappola nella quale cade chi la escogita.
La cronaca di questi giorni – dal discorso di Conte che parla come un despota illuminato del 1700 al delirio del commissario Arcuri, dalle posizioni, finalmente, di alcuni costituzionalisti come Cassese e Baldassarre ai silenzi e ai giudizi della Cartabia, presidente della Corte costituzionale, che asseconda gli atti incostituzionali del governo, fino alla palese impreparazione della cosiddetta Fase 2 – dimostra in modo evidente che l’Italia non solo è di fatto caduta in un regime illiberale ma vi è stata condotta per mano dal governo e dagli Italiani mossi dallo strabiliante convincimento che non solo si possa ottenere sicurezza senza libertà ma che, addirittura, si possa salvare la libertà rinunciandovi. Dimostrando così che gli studi scolastici e accademici di filosofia e di diritto non sono serviti a nulla – e questo è quasi scontato – ma che anche la stessa esperienza della storia politica italiana è del tutto vana.
Non a caso è proprio dalla cultura antifascista, quella abituata a lanciare ogni settimana almeno tre allarmi di fascismo alle porte, che è venuto il maggior entusiastico appoggio alla nascita del nuovo autoritarismo italiano. A conferma, se ce ne fosse bisogno, che non basta essere antifascisti per essere democratici e che nella cultura italiana è del tutto assente la necessaria coscienza anti-totalitaria sia della politica sia della cultura. Il governo assoluto è allo stesso tempo un mito e un abuso. Un mito perché promette ciò che non può. Un abuso perché esercita il potere al di là della sua legittimità. Mi sia permesso dirlo con un brevissimo dialogo:
A: “Tu che difendi la libertà, che certezze hai per la sicurezza della vita?”.
B: “La questione non è che certezze ho io. La questione è che chi toglie la libertà per la sicurezza garantisce una certezza che non ha”.
A: “Un’illusione?”
B: “Può essere tante cose: illusione, alibi, inganno, autoinganno. Ma una cosa è certa”.
A: “Ah, ecco: quale?”.
B: “È un rimedio peggiore del male. Ecco perché tutto ciò che accade deve accadere nella libertà”.
La mitologia di governo ha insistito molto, attraverso una grande operazione retorica tramite televisione e social, sulla responsabilità. Ma siccome la responsabilità è individuale e non collettiva si è generato un effetto contrario: si è riusciti a deresponsabilizzare gli italiani i quali non sono più attivi ma passivi, non più cittadini ma sudditi. Il governo assoluto, anche con l’uso delle scienze sociali come sociologia, psicologia, economia, comunicazione, ha voluto il controllo totale ma alla fine, come è evidente, ha ottenuto una situazione fuori controllo che rincorre con provvedimenti illegittimi, abusivi, stupidi. Che le scienze sociali, con gli immancabili esperti, facciano parte della partita non c’è da stupirsi visto che per loro statuto si occupano del controllo del comportamento umano e non hanno in conto la vitale libertà delle scelte. In altre parole, il governo entrando in una materia nella quale non sarebbe mai dovuto entrare e che avrebbe, invece, dovuto garantire – la libertà, le libertà – si è di fatto sostituito a Dio.
Non è un caso che le chiese sono chiuse, che le forze dell’ordine sono arrivate sull’altare, che la libertà religiosa è soppressa. Lo Stato si è fatto Chiesa, il potere temporale ha mangiato il potere spirituale e lo stesso pontefice, dimenticando di essere non solo “solo” ma anche soltanto il vicario di Cristo e non Cristo ha consegnato il divino al governo. Insomma, ci troviamo innanzi a un peccato di idolatria con cui non solo si profanano le cose sacre ma si sacralizzano indebitamente le cose profane. Con il risultato drammatico, ai fini pratici, che il governo, sia di Roma sia delle Regioni, non riesce a garantire nemmeno quella sicurezza minima o relativa che sarebbe, questo sì, suo compito specifico garantire.