«Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri» ammoniva il Marchese del Grillo nella celeberrima pellicola diretta da Mario Monicelli. La citazione è calzante per riprendere gli atti del governo adottati per contenere il virus con l’obbligo di indossare il dispositivo di protezione individuale dalle ore 18 alle 6. Per il ministro della Salute Roberto Speranza il Covid è attivo per fasce orarie o obbedisce a turni di impiego disposti da un fantomatico datore di lavoro. I virus non hanno un orario di servizio, essendo assunti a tempo indeterminato dalla natura, e quando risultano violenti nel loro vigore diffusivo vanno mitigati con comportamenti di contenimento. Oggi, in base ai dati disponibili, non viviamo un’emergenza sanitaria che giustifichi l’esasperazione di misure limitative delle libertà individuali. Eppure, il governo rossogiallo ha disposto la chiusura delle discoteche, ritenute incubatrici del virus, con l’obbligo delle mascherine vincolato ad orari prestabiliti.
Chiudere le discoteche, indicando i giovani come capro espiatorio dell’inettitudine del governo, è un atto vile che non educa alla responsabilità, semmai istiga alla ulteriore sfiducia verso le istituzioni paladine di un modello di convivenza fondato sulla paura. È giusta e sacrosanta la prudenza, ma la drammatizzazione appare un escamotage per rifilarci ancora le restrizioni e per accedere al controverso canale di finanziamento (Mes) di matrice europea.
Entro fine anno il nostro debito pubblico raggiungerà la dimensione mostruosa del 160%, a cui dovremo aggiungere i rimborsi delle linee di finanziamento del Recovery Fund, che verrà caricato sulle spalle, già sovraccariche, dei giovani. Alle nuove generazioni il governo sta lasciando in eredità onerose passività economiche, condizionando il loro futuro, sottraendo al loro presente gli spazi vigilati di socializzazione e destabilizzando l’agenzia formativa scolastica con l’approssimazione e l’incompetenza del ministro Azzolina. Le principali vittime delle scelte del governo sono i giovani su cui si dovrebbe investire per dare prospettive di certezza al futuro del Paese. Un governo che procede a tentoni, moltiplicando la percezione di insicurezza sanitaria fra i cittadini ed elevando il sentimento negativo della paura ad orizzonte collettivo, a cui si cedono energie, dimostra di non saper (o voler) indicare una direzione per costruire chance di vita ottimistiche. I populismi sono stati accusati, ingiustamente, di cavalcare le paure, manipolando le masse, pur di raggiungere il potere, mentre oggi si tace sul governo che propaga paura per mantenere il potere.
Le parole dell’ex presidente della Bce, Mario Draghi, pronunciate alla 41esima edizione del Meeting di Rimini dovrebbero procurare una reazione politica che corregga la fallimentare gestione della crisi da parte dell’alleanza rossogialla.
«La pandemia di Coronavirus minaccia non solo l’economia, ma anche il tessuto della nostra società, così come l’abbiamo finora conosciuta. Diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti». Così l’ex banchiere Draghi si è espresso durante l’iniziativa del movimento ecclesiale cattolico di Comunione e Liberazione.
Nell’intervento articolato di Draghi non sono mancate le critiche ai sussidi e un appello in favore delle politiche giovanili: «In questo susseguirsi di crisi i sussidi sono una prima forma di vicinanza della società e coloro che sono più colpiti. I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più. I sussidi finiranno e se non si è fatto niente resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri».
Poi un’invocazione alla politica economica, dalla quale «ci si aspetta che non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento. Altrimenti finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di esser noi a controllarla. Perderemmo la strada». Importante il riferimento al debito lievitato con la pandemia che «dovrà essere ripagato principalmente dai giovani di oggi» e privare questi ultimi del futuro «è una delle forme più gravi di diseguaglianza», ha ammonito.
Andrea Amata, 20 agosto 2020