Ci vuole coraggio anche solo a pensarci. Nel bel mezzo di una pandemia, mentre bar, negozi e attività varie sono costrette a rimanere chiuse o ad aprire con intermittenza, il ministero delle Finanze che fa? Anziché mettersi pancia a terra per erogare ristori, o anche solo per aiutare le piccole imprese a galleggiare, studia un modo per aumentare le tasse. Esatto: aumentarle. Iniziando – ovviamente – da quelle stesse partite iva già bastonate dalle restrizioni anti-Covid.
L’idea è stata messa nero su bianco in una relazione ministeriale inviata alla Camera. Roba di un certo peso, per quanto ancora non tradotta in norma fiscale. In pratica si vorrebbe alzare l’aliquota della flat tax del regime forfettario dal 15% al 23% per chi dichiara ricavi fino a 65mila euro annui. Dracula festeggerebbe con 7 miliardi di euro in più sottratti alle pmi, le quali si troverebbero un carico fiscale ingigantito con un semplice tratto di penna. In più, giusto per non farsi mancare nulla, dal ministero pensano pure di rivedere (ovviamente al rialzo) i coefficienti di redditività su cui si calcola l’imponibile degli autonomi. Doppia mazzata, in pratica.
E poco importa se nel 2020 per colpa del coronavirus, e delle scellerate chiusure ad oltranza, la platea delle partite iva ha subito un calo del 14,8%. Poco importano la grave emergenza economica, il fatturato dimezzato o il fatto che ad avere la mini flat tax sono soprattutto piccoli imprenditori e giovani autonomi dalle spalle ancora poco larghe. Il problema in fondo non è se ai tratti o meno di una proposta immorale: è semplicemente illogica. Lo capirebbe pure un bimbo quinta elementare che se sommi le restrizioni Covid all’aumento delle tasse l’unica cosa che ottieni è sfibrare il tessuto economico del Paese. L’equazione sarebbe banale. A quanto pare non abbastanza per i super-tecnici del ministero.