Molti lettori mi chiedono: quando cadrà il governo giallo-verde? Si andrà a nuove elezioni? Ci sarà un nuovo governo? Non avendo alcuna competenza nella politica politicante non sono in grado di rispondere. Se invece si accetta il mio approccio, cioè le regole del management applicate alla politica, con i cittadini-elettori unici azionisti deputati a stabilire chi deve governare, mi sento in grado di esprimere un’ipotesi di lavoro. Questa. Il governo giallo-verde, che piaccia o meno, durerà per l’intera legislatura. I cittadini-azionisti, prima il 4 dicembre 2016, poi il 4 marzo 2018, hanno indossato i “gilet gialli” e con una scheda si sono liberati dei “competenti” dai quali, per un quarto di secolo, erano stati vessati. (Per correttezza devo ricordare che le mie previsioni quasi mai si realizzano).
Questa ipotesi si basa su alcuni presupposti:
1. Per un quarto di secolo il Ceo capitalism e i suoi sacerdoti finto competenti si sono dimostrati degli eleganti inetti, scassando irrimediabilmente la credibilità delle élite. Risultato: “moltissimi” hanno perso molto, “pochissimi” hanno avuto tutto. Ora tutti vogliono tutto. Ma la cassa è vuota, nuove idee sono assenti, la credibilità dei “pochissimi” è zero. E i “moltissimi” sono furibondi. Quando ci si sente insicuri, impoveriti, frustrati, è ovvio ragionare in termini di “on/off”, il che è istinto di sopravvivenza, non populismo.
2. I cittadini-elettori non si fidano più di nessuno. Chi al vertice cade viene cancellato, quando gli va bene, calpestato, se gli va male. Ed è giusto così. Il caso Emmanuel Macron, definitosi all’inizio président jupitérien (pensa te) è paradigmatico. Da monarca assoluto, in un paio di sabati, si è trasformato in un pulcino bagnato.
3. L’apparato governativo dei cinquestelle è quasi tutto fatto di parlamentari alla seconda (e ultima) legislatura. Tutti sanno che il movimento alle prossime politiche non potrà più consuntivare risultati tipo 2018. L’istinto li porta quindi a non far cadere il governo. Si svegliano con l’idea di rompere, sono molto chiassosi durante il giorno, si coricano esausti, terrorizzati di tornare a casa alla ricerca del (proprio) reddito di cittadinanza.
4. Matteo Salvini, l’unico vero animale politico in circolazione, sa che le elezioni anticipate sarebbero, sulla carta, a lui molti favorevoli, ma in realtà rappresenterebbero un rischio mortale. Non mente quando dice di voler governare per cinque anni con Luigi Di Maio: ha una paura boia di perdere il potere, lo guida il suo buonsenso popolare. In un momento di grandi cambiamenti in Europa e in America chi ha la fortuna di essere al potere, deve rimanere ad ogni costo sulla giostra che gira, gira, ma intanto va.
5. Il contesto giocherebbe a favore del Pd, ma finché Matteo Renzi (unico che detiene un certo pacchetto di voti e ha la fiducia dell’establishment, pensa te come sono ridotti) non decide se: a) ritirarsi a vita privata; b) uscire e farsi un suo partito alla Emmanuel Macron, il Pd è bloccato in mezzo al classico guado. Mi chiedo, come credo molti italiani non ideologizzati, serve ancora un Pd eunucoide? L’abbraccio mortale delle élite in questi anni di “montismo” e di “renzismo” lo avrà mica suicidato a sua insaputa?
6. Per Silvio Berlusconi (Fi senza di lui è solo una sigla da zero virgola) il tempo è il problema: in passato per lui l’anno valeva un trimestre, ora il trimestre vale un anno. Nuove elezioni gli sarebbero fatali.
7. La Sinistra mi pare non abbia altra opzione di andare a scuola da Jean-Luc Mélenchon per trovare, almeno, un nuovo riposizionamento strategico.
8. Nella situazione peggiore siamo noi élite (il 10% del Paese). Siamo stati, e siamo, rappresentati da impresentabili, vecchi (e giovani) tromboni che da anni ripetono le solite formulette sull’Europa, sul mercato, sull’economia. In realtà, sono stati null’altro che colti ed eleganti creatori di povertà. Eppure sono lì, in Parlamento e per strada, a ripetere ovvietà senza fare uno straccio di autocritica. Pontificano ancora sui giornali, nei convegni, nei talk show. Sono compagnie di giro che mi ricordano quei vecchi circhi equestri, ove gli animali erano tutti spelacchiati e il sempre triste padrone-domatore, dopo i soliti fischi dello spettacolo serale, ogni mattina all’alba toglieva le tende per altri piazzali, via via più improbabili. Dovremmo avere il coraggio di resettare tutto il vecchiume che ci circonda e prendere atto che non siamo più riconosciuti come classe dirigente, ma come banali élite salottiere di salotti spelacchiati.
È quindi probabile che per cinque anni avremo un governo “spelacchiato”. Comunque, stiamo meglio dei francesi che devono ancora decidere se tagliare la testa al monarca e gettarla nel cassonetto o seppellirla a Colombey-les-Deux-Églises. Prosit.
Riccardo Ruggeri, 13 dicembre 2018