Fine emergenza mai

Scuola, il ministro confessa: fine mascherina mai

Il ministro dell’istruzione rinvia a tempo indeterminato l’abolizione delle mascherine a scuola. L’Italia rimane l’eccezione alla regola

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Le scuole e le università rimangono l’ultimo baluardo della politica spargipanico, cacofonica e allarmistica del Covid-19. Se, negli altri Paesi europei, i luoghi d’istruzione sono già completamente liberi, senza alcun tipo di restrizione, già dai primi mesi dell’anno; l’Italia rimane l’eccezione alla regola generale: la mascherina non vuole abbandonare né gli alunni, né i professori. Ed ecco che, a distanza di oltre due anni, i maturandi dovranno affrontare il terzo esame di stato “pandemico” consecutivo, dove ritornano sicuramente le prove scritte, ma pur sempre all’interno di una cornice limitativa.

Mascherina, il rinvio del ministro Bianchi

Tutto questo per un semplice motivo, almeno per il ministro Bianchi: “La mascherina è un atto di rispetto reciproco, si toglierà quando riterremo che il nostro vicino sia sicuro”. E visto che la “sicurezza del vicino”, con le varianti attuali, non è assicurabile al 100% neppure con 18 dosi di vaccino, se ne deduce che eliminare la mascherina del tutto sarà impossibile. Insomma, il governo sembra proseguire la linea ferrea di Roberto Speranza, quella del “Covid-zero” e della limitazione statale, almeno quando si parla di istituti scolastici.

Eppure, alcune domande o dubbi paiono scontati, automatici, di immediata intuizione. A patto che non si tratti di magia nera, riti voodoo o dati sanitari che noi, subordinati cittadini, non conosciamo, pare veramente difficile conciliare l’esistenza dell’obbligo di mascherina nelle scuole e la sua totale assenza in luoghi ben più affollati e “pericolosi”, come i supermercati.

Attenzione, si badi bene. Con ciò non intendiamo dire che vi debba essere un’imposizione collettiva in tutti i luoghi chiusi. Al contrario, il paradigma dovrebbe essere invertito: è necessario aprire, vivere, essere liberi, senza la criptica distinzione di regole, a seconda del luogo che frequentiamo.

Peraltro, l’attuazione di misure finalmente liberali non configurerebbe un cambio di marcia rispetto agli altri Stati Ue, ma si tratterebbe di una vera e propria omologazione alle politiche adottate non solo dal nostro continente, ma da tutti i Paesi mondiali – ad eccezione della Cina. Guarda caso, solo in Italia, si faceva riferimento positivamente al conclamato “modello cinese”.

Ma i paradossi non finiscono qui. Dopo aver rinviato l’abolizione delle mascherine a tempo indeterminato, ecco che il ministro Bianchi prosegue: “Il nuovo anno non sarà facile, ma lo affronteremo insieme come abbiamo sempre fatto”. E sentenzia: “La democrazia c’è solo quando il mio vicino ha lo stesso mio diritto”.

E quale sarebbe il siffatto “diritto”? L’imposizione collettiva della mascherina? E soprattutto: com’è possibile stabilire l’altrui sicurezza sanitaria, se non quando l’obiettivo sia il rischio zero? In questo biennio pandemico, il coro è stato unanime: “Ci fidiamo della scienza. Sarà lei a stabilire quando saremo liberi dal virus”. Esatto, quindi, come possono essere scientificamente spiegate le aperture totali delle discoteche e le contemporanee restrizioni delle scuole? Il cortocircuito pare poi completarsi con lo scioglimento del Cts, organo sanitario d’eccellenza, soppresso da Draghi già dallo scorso primo aprile.

Fine emergenza mai. O forse…

Proprio così, ci troviamo in un quadro politico in cui è cessato il (quasi) eterno stato di emergenza sanitario – ma è stato prontamente disposto inspiegabilmente con la guerra in Ucraina – e dove sono stati tolti gli organismi viroscientifici di questi lunghi mesi. Cosa può ancora ritardare il ritorno definitivo alla vita del 2019? Proviamo ad offrire una risposta: la volontà politica.

Pensiamo a Roberto Speranza, per esempio. Il suo partito, Articolo Uno, ad oggi non supera neanche la soglia di sbarramento del tre per cento. Titolare di poteri praticamente illimitati nel corso della pandemia, si appresta a cadere nell’anonimato, appena scomparirà l’intero assetto restrittivo, di cui è stato precursore nel Conte II e prosecutore nel Draghi I.

Oppure, ancora, pensiamo all’insieme di virologi e scienziati che hanno cominciato a frequentare i salotti televisivi, proprio con lo scoppio del Covid-19, e che oggi cercano di tornare alla ribalta con nuovi incarichi: politici, militanti di partito, financo analisti di geopolitica.

Forse, l’approccio allarmistico e ultra-prudente (seppur in continua diminuzione) di alcuni esponenti dell’esecutivo non tramonterà mai. Mario Draghi, in quanto presidente di un governo di unità nazionale, deve cercare di bilanciare le varie richieste delle correnti politiche. Dai più aperturisti ai chiusuristi d’eccellenza. E questo lo porta ad un’evidente gestione contraddittoria del lato sanitario.

C’è, però, un’ultima speranza: le elezioni politiche del prossimo anno. La fine dell’esperienza draghiana potrà spazzare via gli ultimi rimasugli ideologici di coloro che credono fermamente al “Covid-zero”.  E allora sì che, in quel momento, potremmo brindare e tornare a definirci veramente liberi.

Matteo Milanesi, 6 giugno 2022

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