Una delle caratteristiche di Elon Musk, l’inventore della Tesla e di tanto altro, è che è impossibile attribuirgli un’etichetta. Attribuire una militanza ad un signore che pensa sul serio di colonizzare Marte, che ha inventato l’auto elettrica, per primo ha costruito razzi che ritornano alla base terrestre e sta investendo un chip per curare le malattie, è del tutto ridicolo. Così come pensare di invitare Elon Musk senza tenere in conto tutte le sue sfaccettature politicamente scorrette: sia per i liberal americani, sia per i conservatori di casa nostra. Quando per la prima volta lo portammo, grazie al suo geniale collaboratore ventenne Andrea Stroppa, nei palazzi romani, facemmo leva sul suo amore incondizionato per la nostra storia e cultura. Dall’alto di una terrazza romana mi disse: «È straordinaria Roma, ma questi Palazzi, senza i romani non valgono nulla». Per carità non mettiamolo, noi, nella categoria dei romantici. Musk è Musk: quando era all’aperto al sole romano diceva con semplicità: «Spostiamoci, altrimenti mi viene il naso rosso. E non capisco perché mi venga subito il naso rosso». Non è uno che ti dice «fa caldo», oppure «mi scotto»: no, ti confessa che gli viene il naso rosso.
Dopo sei mesi, e dieci ore di viaggio, dal Texas, è ritornato per la seconda volta a Roma. I francesi con Macron lo ricevono in grande pompa all’Eliseo, noi ci giochiamo il Colosseo, Caravaggio e quello che è diventato un ottimo rapporto personale con Giorgia Meloni. E poi certo c’è stato il passaggio alla festa dei giovani di Fratelli d’Italia ad Atreju. Ciò che ha fatto mandare in bestia, l’intero universo progressista.
Musk atterra a Ciampino alle 11 e dopo quaranta minuti si presenta con la sua t-shirt d’ordinanza nella fossa di Castel Sant’angelo, ad Atreju. Con lui tre barbuti della sua sicurezza e sulle spalle X. Il figlio “sbagliato”, a sentire l’opposizione, perché fatto con la maternità surrogata. In realtà non è neanche così, perché si tratta del pargolo avuto con la cantante Grimes. Ma è vero che nella sua numerosa prole ce ne è uno «surrogato». Così come è vero che Musk ha fatto uso di marjiuana e pur ritenendo che sia «poco produttiva» ha parlato di legalizzazione. E ritorniamo al punto di partenza: le etichette. Elon Musk che va dalla Meloni diventa immediatamente icona del pantheon conservatore. È una roba da pazzi il solo pensarlo. Sia per chi lo denuncia, l’opposizione che sembra smarrita e a corto di critiche, sia per chi se lo volesse attribuire. I democratici americani ci provarono, ma oggi lo detestano, perché Musk non si è fatto imbrigliare nella loro cultura politicamente corretta. Ci hanno provato gli ambientalisti, ma Musk detesta l’idea paradossale del climatismo per cui il problema sarebbe l’uomo. Al contrario per l’inventore della Tesla l’uomo e la sua coscienza (che in effetti è un po’ un casino da definire) sono il centro dell’universo.
Con tutto il rispetto è assurdo che un politico come Romano Prodi prenda Musk come paradigma di come la Meloni sia fuori dal mondo. Non rendendosi conto che il circoletto Verdurin di Zingaretti, Schlein, Prodi, Letta e Franceschini riunito con le cuffiette colorate non sembra il migliore interprete dello spirito dei tempi. Altrettanto incredibile è la critica sulla contraddizione tra il libertarismo dell’uomo più ricco del mondo e il conservatorismo del partito della Meloni. Ovvio che sia così. Nel senso che Atreju, come peraltro sono state anche alcune feste dell’Unità, non è un congresso o una assemblea di partito, ma un luogo in cui si cerca di far circolare delle idee. E come ci ha detto con una punta di presunzione ben riposta Musk: «Io ho un mucchio di idee e a quelle che più mi convincono faccio seguire i fatti».
Nicola Porro, Il Giornale del 18 dicembre 2023