Politiche green

Costi elevati, aziende in fuga: il grande flop dell’eolico offshore

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Nei primi mesi dell’anno gli esperti del settore erano stati chiari: il 2023 sarà l’anno dell’energia eolica, in particolare di quella offshore, ossia quella proveniente da parchi eolici costruiti sulla superficie degli specchi d’acqua, generalmente mari o oceani. Previsione decisamente azzardata, perché a distanza di poche settimane si scopre che in realtà l’anno corrente potrebbe essere quello del suo flop. Il motivo? L’eccessivo aumento dei costi che rischia di mettere in fuga gli sviluppatori di impianti.

Costi in aumento per l’eolico offshore

Secondo le stime effettuate da alcune imprese leader del settore, tra cui la svedese Vattenfall, il costo di costruzione di un parco eolico offshore è aumentato solo quest’anno del 40%. Un’impennata che sembrerebbe aver messo in serie difficoltà le aziende proprietarie dei progetti, tra cui figurano anche colossi come Shell e Iberdrola, che avevano già concordato la vendita di energia elettrica prodotta a partire da tali impianti a prezzi bassi e fissi. E invece, l’aumento repentino dei prezzi obbligherà necessariamente i produttori a rivedere i loro piani. In alcuni casi, vedi la già citata Vattenfall, per tentare di far fronte alla crescita esponenziale dei costi, le aziende hanno esercitato fortissime pressioni sui governi nazionali per ottenere agevolazioni fiscali o altre forme di sostegno, ma tutti i tentativi sono risultati vani. Così l’azienda svedese ha deciso di tirarsi indietro dal contratto e interrompere la fornitura di energia elettrica. Ma non è tutto.

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Il caos Iberdrola e Shell negli Stati Uniti

Anche negli Stati Uniti, uno sviluppatore appartenente al gigante spagnolo Iberdrola ha accettato di pagare quasi 50 milioni di dollari pur di uscire da un contratto di fornitura nel Massachusetts, per poi rinviare in attesa di condizioni migliori un secondo progetto previsto per il Connecticut. Così come accaduto nel caso di un progetto di Shell, sempre nel Massachusetts, fermo in attesa di una rinegoziazione dei termini contrattuali. E quelli citati non sono certo i soli casi in cui gli sviluppatori hanno deciso di abbandonare i progetti ritenuti non redditizi. A dimostrazione di come la situazione nel settore non sia così promettente, come ammesso dell’analista senior statunitense presso Wood Mackenzie Samantha Woodworth: “molti proprietari stanno cercando di rinegoziare i contratti di acquisto di energia. Non è proprio il quadro roseo che tutti si immaginavo qualche mese fa.”

La difficile transizione energetica

Insomma, l’eolico offshore non è affatto l’Eden che ci si sarebbe aspettati di scoprire. Tutt’altro. E lo hanno compreso anche i produttori, che sembrerebbero essersi impantanati a causa delle notevoli difficoltà riscontrate nella valutazione economica dei singoli progetti, che appare comunque subordinata al sostegno statale, come confermato da Mads Nipper, amministratore delegato di Orsted, il più grande sviluppatore di energia eolica offshore al mondo. “I governi devono capire che le ambizioni dell’eolico offshore si realizzeranno solo con prezzi realistici. La creazione di valore finanziario è al centro del nostro settore. Questo significa che se non riusciamo a raggiungere una creazione di valore soddisfacente siamo pronti ad andarcene.” Per la serie: aprite i rubinetti oppure l’energia pulita potete anche produrvela da soli. Se non è un flop questo.

Salvatore Di Bartolo, 9 agosto 2023
*autore di Overgreen. L’altra faccia della rivoluzione verde