Se la sinistra classica, quella dei partiti tradizionali, sta male, non si può dire che quella nuova che doveva ad essa sostituirsi, che recuperava il vecchio radicalismo marxista e lo mixava con abbondanti dosi di populismo, stia meglio. Anzi, sembra che ultimamente più la sinistra classica strizzi l’occhio a quell’altra sinistra, più segni la sua sconfitta.
Da Podemos ai 5 Stelle
Prendiamo il caso più recente, quello spagnolo fotografato l’altro ieri dalle elezioni regionali che hanno segnato il trionfo dei popolari. La perdita di voti dei socialisti di Pedro Sanchez è stata secca, ma per Podemos, il partito del radicalismo di sinistra che era diventato addirittura il primo partito nei sondaggi qualche anno fa, nemmeno la discesa in campo del suo leader, Pablo Iglesias, ha evitato la débacle. Quello che soprattutto sembra mancare oggi a Podemos è una prospettiva, una visione del futuro. Tanto che, finita l’onda lunga “populistica”, non rimarrà che o sciogliere le fila o rimettersi in carreggiata come piccola ruota di scorta del partito di sempre, i socialisti. Che è lo stesso che sta per accadere al Movimento Cinque Stelle in Italia: nati come una risposta trasversale alla crisi dei partiti tradizionali, essi hanno finito soprattutto per catalizzare il vasto malcontento che allignava a sinistra contro il Pd, cioè il partito Casta per antonomasia. Le stesse tematiche della democrazia diretta e dell’egualitarismo decrescista muovevano decisamente in questa direzione. Senonché oggi il Movimento si trova ad avere come unica prospettiva proprio quella di allearsi con i democratici. Fino, si presume, ad essere inglobati ed inghiottiti fra loro. La crisi motivazionale e di consensi ne segue come conseguenza, né sembrano destinati a buona fortuna i tentativi fatti per uscirne (prima con la creazione di un direttorio mai votato e insidiatosi e poi con l’investitura mai concretizzatasi di Giuseppe Conte a capo politico).
Il fallimento della sinistra inglese
Non ha avuto poi successo, come è noto, nemmeno il tentativo compiuto da Jeremy Corbin di riscrivere il dna che col tempo avevano assunto i laburisti inglesi, ritornando ad un socialismo duro e puro, tutto tasse per i “ricchi” e nazionalizzazioni, una sorta di veteromarxismo venato di forti tinte antioccidentaliste e persino antisemite. Con la sconfitta nelle ultime elezioni, Corbyn sembra essere stato mandato definitivamente nel museo dei cimeli storici, sostituito dalla soft left di Keir Starmer molto somigliante al laburismo globalista e gradualista del vecchio (e comunque non più spendibile) Tony Blair.
Il caso Usa
Qualcosa di simile, pur con i dovuti distingiuo, sembra essere accaduto ad un altro attempato (in tutti i sensi) socialista, operante sull’altra sponda dell’Atlantico (ove fra l’altro una tradizione socialista forte non c’era mai stata), Bernie Sanders. Il quale, partito lancia in resta contro l’establishment democratico, dato come uno dei favoriti alle primarie, minacciato addirittura di far confluire il voto dei suoi su Donald Trump in caso di vittoria di Joe Biden, da cui lo dividevano una forte visione pacifista e antiliberoscambista, ha finalmente fatto un accordo con il neopresidente, il quale lo ha “ricompensato” con un “misero” posto di presidente della commissione Bilancio del Senato.