In una delle sue pagine può ispirate, Luigi Einaudi parla del “punto critico” che è proprio dei fenomeni sociali: quella soglia oltrepassata la quale anche un fenomeno positivo diventa negativo. Credo che questo valga anche per i concetti, compreso quello di libertà. Non mi meraviglio perciò che Rino Camilleri possa scrivere che il liberalismo muore oggi strangolato dai propri i principi.
Credere nell’autodeterminazione dell’individuo, titolare proprio in quanto individuo solo di diritti e non di doveri verso l’altro o verso la società, porta alla fine al nichilismo e al relativismo assoluto delle nostre società. E porta, appunto al giacobinismo e alla democrazia totalitaria: cioè ad una situazione in cui, in nome della libertà, si uccide la libertà di ognuno, oppure più banalmente si genera l’asfittico e conformistico mondo che ci descrive Rino Cammilleri. Ma siamo sicuri che la dimensione in cui si collochi il liberalismo sia di necessità questa? E che il liberalismo sia semplicemente quella dottrina che, con i suoi principi statuiti in testi canonici, si oppone, dottrina fra le dottrine politiche, al socialismo, al fascismo, al cattolicesimo politico, ecc. ecc.?
Se così fosse, se cioè ci si ponesse su questo terreno di dottrina contro dottrina, i liberali non avrebbero più ragioni degli altri da accampare: è una questione di fede decidere di servire l’uno piuttosto che l’altro Dio. E oggi un Dio può vincere, domani soccombere. Se però, essi guardano non ai contenuti concreti della loro azione, non ai principi a cui si sono per qualche o lungo tempo richiamati, ma al loro ideale, allo scopo ultimo della loro azione, che è garantire gli spazi di libertà nella società, essi si accorgono che non esiste una “ricetta” liberale prestabilita e definitiva ma solo il nostro perenne conato a opporci ai vari poteri che ci tolgono di volta in volta, e sempre diversi e diversamente atteggiati, l’aria che respiriamo. A noi sta individuarli, e scoprire la “soluzione”, precaria e perfettibile, contingente anch’essa, da opporre a questi poteri, ai nuovi conformismi.
Poi può darsi anche che l’anticonformismo di oggi diventi il conformismo di domani, ma questo non fa che confermare l’assunto: la “soluzione” liberale sta a noi trovarla di volta ed è sempre diversa. Sta a noi, in altre parole, individuare il “punto critico” in cui una risposta non è più valida perché sono cambiati i problemi ed essa non garantisce più la libertà ma il suo opposto. Nicola Matteucci diceva che il liberalismo vive ridefinendosi, ed è una continua e sempre diversamente atteggiata “risposta a sfida”. Lo credo anche io. Quello che è chiaro è che il male consiste nella pretesa di imporre a tutti la propria verità e per sempre. E la sfida di chi crede nella libertà è quella di tenere sempre aperta invece la tensione fra i poli opposti in cui si muove l’esistenza umana. Una sfida non garantita, e che soprattutto ci impegna quotidianamente.
Il liberalismo non è fatto per pigri, per chi si aspetta la guida dagli altri per stare (illudendosi) al sicuro; o per chi crede che il processo possa interrompersi con l’avvento di un “ordine liberale”. Paternalismo e perfezionismo sono perciò i nemici più genuini del liberalismo. Viste le cose in quest’ottica, si capisce perché il liberalismo sia sempre “in crisi”, che viva continuamente una situazione in cui lo si dà al tramonto o addirittura per finito (se si sfogliano le pagine di molta letteratura europea politica fra le due guerre se ne ha subito contezza). Ciò che tramonta e finisce sono le sue forme, ma non l’idea che le sorregge. Perché, più o meno, essa coincide col motore che manda avanti la vita umana.
Corrado Ocone, 1° febbraio 2021