Giustizia

Il maxi-stipendio di Elon Musk e i soviet dell’equità sociale

“Importo ingiusto ed eccessivo”: così una giudice del Delaware ha bocciato il compenso approvato dagli azionisti di Tesla

Musk stipendio (1) © selensergen tramite Canva.com

La cosa ha dell’incredibile, anche perché sta accadendo negli States, uno dei Paesi più liberali del mondo. Elon Musk, amministratore delegato di Tesla, si è visto “bocciare” per ben due volte bocciare il superpremio che si era autoproposto non dagli azionisti, che lo avevano votato altrettante volte a grande maggioranza, da una giudice del Delaware, piccolo Stato della East Coast con poco più di un milione di abitanti.

Kathaleen McCormick, questo il nome della 45enne con la toga, laureata ad Harvard che, a quanto riportano alcune testate progressiste degli States, sarebbe una delle figure più preparate in diritto societario. Tant’è che già a gennaio costei era intervenuta in un caso portato in tribunale da un gruppo di azionisti Tesla, secondo i quali il board della compagnia di veicoli elettrici era troppo pesantemente influenzato da Musk, quando aveva adottato il pacchetto bonus nel 2018. Cormik aveva definito “ingiusto” il super bonus e “frutto di un procedimento viziato”.

Ebbene, dopo che il medesimo board, preoccupato dalle catastrofiche ricadute per una eventuale dipartita di Musk, aveva convocato gli azionisti per una seconda votazione – votazione conclusasi con lo stesso esito positivo della prima consultazione -, la stessa campionessa dell’equità sociale a stelle e strisce ha confermato senza alcun indugio la prima sentenza, ritenendo il pacchetto eccessivo e ingiusto per gli azionisti.

Ovviamente il geniale e multiforme imprenditore di origini sudafricane non poteva accettare una simile deliberazione, commentando in modo caustico l’accaduto su X e sottolineando “che sono gli azionisti a decidere, non i giudici”, dichiarandosi pronto a fare appello. Ora, sebbene si tratta di una cifra enorme, ben 56 miliardi di dollari, che avrebbero fatto di Musk il dirigente più pagato e premiato del globo. Eventualità la quale, ovviamente, avrebbe ulteriormente alimentato il vento dell’invidia sociale, su cui anche in America soffiano molti dei cosiddetti progressisti.

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D’altro canto, al di là degli evidenti sospetti legati ad una sorta di ritorsione politica nei riguardi di uno dei principali collaboratori e sostenitori di Donald Trump, rieletto per la seconda volta come inquilino della Casa Bianca, sta di fatto che se anche in questo grande Paese, che rappresenta ancora uno dei più importanti presidi di libertà economica del mondo, dovesse passare il principio del giusto compenso stabilito da un magistrato, l’Occidente avanzato – già fin troppo invischiato in una melma ideologica in cui la stessa invidia sociale alimenta perversi meccanismi dirigistici, rallentando l’azione spontanea dei vari attori economici – compirebbe un ulteriore passo verso una strisciante collettivizzazione del sistema.

A quel punto potrebbe anche accadere che un novello Lenin americano del terzo millennio, così come avviene in Italia da qualche decennio, decida di salire su un pulpito e gridare con voce forte e chiara: tutto il potere ai soviet – togati – dell’equità sociale!

Claudio Romiti, 3 dicembre 2024

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