Che la mortificazione di un governo potesse passare per le discoteche neppure nei peggiori incubi da lockdown potevamo immaginarlo, ma la realtà ormai ci supera ogni giorno di più. L’incompetenza è totale e incompetenza genera sbando, sbando genera confusione, confusione genera tensione, tensione genera ribellione, ribellione genera sconcerto. Lo sconcerto è il peggio. Perché piove sulle tamerici salmastre ed aspre di un popolo già sconcertato, addirittura spaventato: che ne sarà di noi, che cosa si inventerà adesso questo Giuseppi cavato dal cilindro, che rifiuta ogni logica e impone un suo personale delirio? E Giuseppi dopo il delirio ha sempre la soluzione pronta: scarica la colpa altrove, scaglia il sasso di un decreto e nasconde la mano, sentite questa: “Il governo non ha mai autorizzato l’apertura delle discoteche. Abbiamo sempre ritenuto impensabile che in una discoteca si possano mantenere distanze e indossare le mascherine. Alcune regioni, tuttavia, hanno voluto adottare protocolli sanitari ritenendoli compatibili con la riapertura”.
Conte mente per la gola, ma ha buon gioco perché le balle corredano la proverbiale vaghezza, il principio di indeterminazione amministrativa: non è proprio che le regioni abbiano fatto di testa loro contravvenendo alle intenzioni del governo, è che il governo, come per ogni altra situazione, ha traccheggiato sapendo di traccheggiare, tanto vero che ancora al 31 luglio si discuteva se riaprire le sale da ballo prima di Ferragosto: invece a Ferragosto le hanno richiuse. Nel frattempo, per non saper che fare, nella totale anarchia direttiva, nello sconcerto più feroce le regioni hanno deciso di testa loro, a volte con soluzioni fantasia: quasi tutte si sono decise, sapendo che questa filiera del divertimento, per quanto discussa e discutibile, smuove miliardi; così la Sicilia ha aperto le danze il 8 giugno, seguita dal Lazio il 15, però senza poterci ballare dentro fino all’1 luglio, in puro nonsense zingarettiano, mentre Toscana, Puglia ed Emilia Romagna si poteva zompettare “ma solo negli spazi aperti”.
Soluzioni gesuitiche figlie del caos, restrizioni tutte da interpretare, diverse da confine a confine, con l’ineffabile ministro Speranza che si metteva una mano davanti e l’altra dietro: “Se le Regioni decideranno di farlo autonomamente, possono eliminare le restrizioni ma dovranno assumersene le responsabilità”. E questo sarebbe il modo di governare? Questo se mai è scaricare il barile e c’è una bella differenza tra il “non avere mai autorizzato l’apertura dei locali” e il non avere formalmente vietato la riapertura. Tanto più che, quando vuole, Giuseppi si esalta nel lockdown, è la sua tentazione suprema, il suo sogno bagnato, il peccato cui non sa rinunciare. E infatti, puntuale, non ha saputo resistere e ha bloccato tutto di nuovo dal 16 scorso: e non lo sapeva che in discoteca ci si va per strusciarsi, per sudarsi addosso, e non se l’aspettava che da un mese questi giovani infingardi pagavano il biglietto proprio per quello? Dove vive Giuseppi, a Fiabilandia? A Casaleggiopoli? O in altre lande inaccessibili agli umani?
La verità è che lo stile del Conte è sempre lo stesso: io faccio un gran casino, imbroglio le carte, poi vedetevela voi, si tratti di comitati tecnico-scientifici, virologi, task force, Colai, discotecari, ristoratori, cassa integrazione, Inps, partite Iva. Sempre colpa di un altro, sempre qualcuno che non ha capito, non ha interpretato, non si è sintonizzato, non ha colto la stoica tensione etica del premier che, totemizzato dai Fantozzi del Fatto Quotidiano, si sbrodola nell’autoesaltazione: Palazzo Chigi, cioè lui, ha “lasciato fare per alcuni giorni, ma quando abbiamo constatato che la curva epidemiologica rischiava di risalire siamo intervenuti e in Conferenza delle Regioni abbiamo, ancora una volta, dato tutti prova di grande collaborazione, convincendo anche i presidenti regionali più riluttanti a disporre la chiusura. Con l’occasione, abbiamo garantito un intervento di sostegno finanziario per tutti gli operatori del settore”.
Trasuda libidine del potere da questa prosa napoleonica grondante irrisione: il sostegno finanziario non mette insieme manco le briciole di un’elemosina, 100 milioni a fronte di perdite già maturate per 4 miliardi, Giuseppi ha un suo senso dell’umorismo, l’umorismo carogna del potere, gli è venuto subito insieme alla faccia arrogante e ai modi del parvenu che la fa pagare al mondo. Quanto alla curva epidemiologica che “rischia” di salire, abbiamo già capito che le discoteche sono solo un debutto, in ballo c’è tutt’altro. E qui casca l’asino, perché Giuseppi, nella sua mania di strafare, di strachiudere, forse non ha calcolato che le regioni sulle quali scarica il barile della sua incompetenza sono in buona parte quelle in odor di alleanza elettorale: Lazio, Puglia, Toscana, eccetera. Come si spiega? Non si spiega, a meno che le mene del Conte puntino da tutt’altra parte e lui tiri a sabotare pro domo sua, per le ragioni che sa lui, ma che paghiamo tutti. Quo usque tandem, Giuseppi, abutere patienta nostra? Quo vadis, Giuseppi? Cui prodest, Giuseppi, se quando il gioco si fa duro, le disco smettono di aprire?
Max Del Papa, 20 agosto 2020