Eccola la lettera incriminata che condanna il comunismo. Un testo semplice semplice, che il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha redatto oggi 9 novembre in occasione del Giorno della Libertà, istituito per celebrare la ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino. Direte: niente di che. Già. Se non fosse che la sinistra tutta – per motivi inspiegabili – si è lamentata per quella che considera una lettera intrisa di “propaganda” antisovietica.
Simona Malpezzi, capogruppo dem al Senato, ha scritto che la missiva è “fuori luogo” perché darebbe una “lettura strumentale della caduta del muro” (lettura strumentale?). Per Irene Manzi, responsabile scuola del Partito Democratico, dietro ci sarebbe un “approccio ideologico” che celebra la fine dell’Urss “solo in chiave anticomunista” con una “lettura volutamente forzata e per nulla sobria” (e di chi sarebbe la colpa del muro, del Duce?). Per il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, “le parole del ministro sono un modo scorretto e unilaterale per affrontare errori ed orrori del cosiddetto socialismo reale” (cosiddetto, sic): “Non convince – dice – l’invettiva contro il comunismo come ‘la via verso il paradiso in terra che si lastrica di milioni di cadaveri'” (in effetti è stato un pranzo di gala). Dulcis in fundo, la Cgil si dice addirittura “preoccupata” per i contenuti della lettera, straparla di Minculpop e denuncia una presunta intromissione del ministro nella lettura storica, opera che spetterebbe ai docenti (solo quelli comunisti, ovviamente).
Bene. Lette tutte queste folli polemiche (perché tali sono), abbiamo pensato di pubblicare qui sotto il testo della missiva di Valditara. Il lettore si faccia un’idea e provi a rispondere alle seguenti domande: è il neomonistro ad aver fatto una “lettura strumentale della storia” oppure la sinistra ad avere le traveggole? Non è che Pd, Anpi, Cgil e compagni sono così fieri di Lenin, Stalin e Togliatti che non se la sentono di condannare gli orrori del comunismo? E infine: chi è che deve rinnegare la propria “matrice”, Meloni col fascismo o il Pd erede del Pci?
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“Care ragazze e cari ragazzi,
la sera del 9 novembre del 1989 decine di migliaia di abitanti di Berlino Est attraversano i valichi del Muro e si riversano nella parte occidentale della città: è l’evento simbolo del collasso del blocco sovietico, della fine della Guerra Fredda e della riunificazione della Germania e dell’Europa. La caduta del Muro, se pure non segna la fine del comunismo – al quale continua a richiamarsi ancora oggi, fra gli altri paesi, la Repubblica Popolare Cinese –, ne dimostra tuttavia l’esito drammaticamente fallimentare e ne determina l’espulsione dal Vecchio Continente.
Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l’immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri. E si rivela drammaticamente vera l’intuizione che Blaise Pascal aveva avuto due secoli e mezzo prima della rivoluzione russa: «L’uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia».
Gli storici hanno molto studiato il comunismo e continueranno a studiarlo, cercando di restituire con sempre maggiore precisione tutta la straordinaria complessità delle sue vicende. Ma da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l’Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell’impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa.
Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com’è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l’unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile.
Per tutto questo il Parlamento italiano ha istituito il 9 novembre la “Giornata della libertà”. Su tutto questo io vi invito a riflettere e a discutere”.
Giuseppe Valditara