L’8 giugno 1968 una Porsche 910 esce di strada durante le prove del Gran Premio delle Alpi, a Rossfeld. È l’incidente in cui perde la vita Lodovico Scarfiotti, pilota di fama internazionale, l’ultimo italiano a vincere il Gran Premio d’Italia a bordo di una Ferrari. La sua morte chiude una parentesi di notorietà per la famiglia Scarfiotti, che si era aperta all’inizio del secolo con un altro Lodovico, suo nonno (primo presidente della neonata Fiat), e che aveva compreso anche suo padre Luigi, deputato e industriale. Paola Rivolta ripercorre gli avvenimenti più importanti della loro storia in Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld (Liberilibri).
La storia di tre generazioni della famiglia Scarfiotti (grandi imprenditori legati poi da stretta parentela agli Agnelli), opportunamente ricostruita attraverso fonti, lettere, documenti e testimonianze, diviene dunque una saga familiare, che è, a un tempo, anche un romanzo storico: le vicende della famiglia (costellate di trionfi e tragedie, soprattutto nella fine che lega i due Lodovico) divengono una chiave per comprendere un secolo cruciale per la storia del Paese, dalle questioni irrisolte del neonato Regno d’Italia, sino al boom economico degli anni Sessanta, passando per i conflitti mondiali e le sfide dei due dopoguerra.
Come accennato, Lodovico Scarfiotti senior fu il primo presidente del primo marchio automobilistico italiano, nonché uno dei nove soci fondatori. La fondazione della Fiat era il risultato dell’attivismo entusiastico che l’Esposizione nazionale di Torino del 1898 aveva lasciato dietro di sé e delle ambizioni di un gruppo di uomini consapevoli che la loro fosse un’epoca di prodigiosi cambiamenti. “Una acies” è il loro motto: una sola schiera di uomini, notabili, “simboli onorevoli e disinteressati di ordine e stabilità sociale”, che si incaricano di traghettare la modernità del loro presente: il progetto di realizzare un’automobile italiana rispondeva alla volontà di sopperire al ritardo nel settore del neonato Regno d’Italia rispetto ad altre nazioni, con “un prodotto innovativo che sia emblema delle potenzialità dell’artigianato e dell’industria torinese”.
Per l’uomo Lodovico, quell’“iniziativa industriale” è l’occasione per dare prova della sua intraprendenza e della sua contemporaneità; al momento cruciale dell’accordo, il primo pensiero è per suo figlio Luigi: prendere quella decisione può essere un esempio per lui, perché possa imparare a guardare avanti e ad avere fiducia nel futuro. Luigi erediterà da lui non solo le attività imprenditoriale e quanto sperato dal padre, ossia una mentalità da industriale, bensì anche la passione per l’automobilistica, che in lui si tradurrà in un’attività agonistica sui circuiti più importanti dell’epoca, interrotta soltanto dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
La carriera automobilistica di Lodovico Scarfiotti non può che apparire allora un destino. Non per questo, però, sarà meno sorprendente. I tempi sono cambiati e gli obblighi sociali e familiari non imbrigliano il pilota quanto avevano fatto con suo nonno, né circostanze storiche gli impediscono di scegliere di diventare un professionista, come era accaduto a suo padre. Lodovico non può accontentarsi di essere un gentleman driver; nulla, né il percorso da imprenditore che suo padre ha spianato per lui, né le preoccupazioni di sua madre, né il rischio, né la paura della morte riescono a dissuaderlo dalla sua passione irrefrenabile: “Partire nonostante tutto”.
I successi di Lodovico e la sua tenacia sono al tempo stesso l’apice della storia degli Scarfiotti e il risultato della sua volontà di affrancarsi dalla fortuna della sua famiglia, per fugare ogni dubbio sulla sua presunta condizione di privilegiato, per far sì che venga riconosciuto e ricordato come “un pilota capace di sopportare sofferenza fisica e fatica, che ha coltivato il proprio talento con abnegazione, che non lascia nulla al caso, sempre riconoscente a chi gli ha dato l’opportunità di gareggiare, rispettoso nei confronti del lavoro degli altri: un professionista”.