Come riporta la Nazione, l’agenzia di stampa cattolica Sir sarebbe venuta a conoscenza di una comunicazione interna del presidente dell’Istituto Universitario Europeo (Eui) di Fiesole (Firenze), il belga Renaud Dehousse, che vorrebbe cancellare la parola “Natale” dalla tradizionale festa del 25 dicembre. Il tutto per eliminare il “riferimento cristiano” ed ottemperare così agli obblighi del “Piano per l’uguaglianza etnica e razziale” dell’Eui (European University Institute). Sempre secondo il Sir (Servizio Informazione Religiosa), le feste religiose resteranno nel calendario dell’Eui (ci mancherebbe altro!) ma devono essere denominate con un carattere “inclusivo”. Per il Natale, “gli aspetti tradizionali e folcloristici possono rimanere parte dell’evento” (grazie presidente per il suo buon cuore!). Una prima proposta per il nuovo nome del Natale è “Festa d’Inverno”.
Che tale decisione venga da un presidente è strabiliante e comunque purtroppo riflette alcuni modi di pensare dei tempi correnti. Soprassedendo sul fatto che il titolo del “Piano per l’uguaglianza” sembra quello di un manifesto programmatico che richiama alla mente uno dei periodi più bui della storia dell’Europa e del mondo, è incredibile come si debba negare la tradizione, la cultura e la religione di un Paese (l’Italia ma anche l’Europa stessa) per compiacere non si sa bene chi.
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L’uguaglianza etnica e razziale proclamata dall’esimio professore belga si raggiunge innanzitutto con l’accoglienza e con un reciproco rapporto pacifico tra chi accoglie e chi viene accolto. E non cambiando nome a una ricorrenza religiosa. Se io sono ospite in un Paese straniero mi devo adattare alle tradizioni, agli usi e costumi, alla sensibilità del Paese ospitante. Ovviamente la religione (il Natale, malgrado gli alberi decorati, i regali, le vetrine illuminate, le spese extra di ogni famiglia, è pur sempre la celebrazione della nascita di Gesù, quindi una festa religiosa) è personale ed ogni religione va rispettata, purché anch’essa rispetti le altre. Perché in Europa dobbiamo vergognarci delle nostre tradizioni, della nostra religione e abbiamo paura che mantenendo le nostre usanze secolari possiamo rischiare di fare uno sgarbo a qualche immigrato? Gli immigrati (quelli “veri”) vengono in Europa per trovare condizioni di vita migliori, un lavoro, e non per imbattersi in una brutta copia dei loro stessi Paesi.
La Zuppa di Porro
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Se ragioniamo come il presidente Dehousse e chi la pensa come lui, allora molte celebrazioni dovrebbero essere eliminate e rinominate sui nostri calendari. Eliminando anche i crocifissi dai muri su cui da decenni guardano classi o uffici pubblici. In nome della inclusività dove arriveremo? Dovremo forse nascondere le chiese, magari riadattandole, anzi rinominandole, come moscheee o templi o santuari pluri-religiosi da usare come spazi da affittare per diverse manifestazioni? Il cambiare nome ad una festa cristiana sembra solo l’ennesimo gesto propagandistico di un certo perbenismo benpensante per mettersi la coscienza a posto ed autoproclamarsi paladini dell’inclusività e dell’accoglienza. Speriamo che nella versione ufficiale del comunicato dell’Eui il presidente ci ripensi, contento anche lui di festeggiare un nuovo Natale e non una Festa d’Inverno che sembrerebbe uscita da uno dei film di “Frozen”.
L’accoglienza vera dovrebbe innanzitutto spiegare agli ospiti le nuove tradizioni che incontreranno in un nuovo Paese, insomma il nostro modo di vivere. Attenzione: spiegare e chiarire, non imporre. Perché solo con la comunicazione e la forte convinzione nei propri valori (sperando di averne ancora) si può essere pronti a comprendere, aiutare ed integrare chi è straniero (ammesso che lo voglia).
Andrea Gebbia, 25 ottobre 2023