Il nuovo libro della Murgia è pieno di scempiaggini

A due mesi dalle elezioni, il nuovo libro della scrittrice da poco scomparsa: “Ogni tempo ha il suo fascismo”. Che squallore sfruttarla in tempo elettorale

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Libro Michela Murgia

Il cinismo elettorale di sinistra non ha limiti. Nella desolazione di un 25 aprile caricato come non mai, ma finito nella farsa più agghiacciante, fra ex segretari dediti, pare, al furto con destrezza, martiri censurati in processione su tutti i canali, chat su whatsapp dei soliti noti, orchestrati da un Bel Ami, candidature in odor di sovversivismo estetico, non resta alla sinistra opportunistica che riesumare i santini: Repubblica lancia il nuovo libro postumo, quanti ancora da qui all’eternità?, della onnipresente Michela Murgia, tra autoesaltazione post mortem e denuncia dell’eterno fascismo: “Ricordatemi come vi pare”, il titolo, ma il sussunto è: purché mi ricordiate, nel segno dell’antifà militante e permanente.

Murgia a questo punto merita misericordia come la merita una agitatrice di modestissime qualità letterarie, una che ai suoi tempi esaltava, come tutti nel suo milieu, il fascismo dei democratici, i greenpass, i lockdown, i ricatti vaccinali: arrivò ad invocare “più Covid, almeno viaggio comoda e da sola sull’aereo”. Scemenze che erano di molti, non solo a sinistra, e che vanno considerate con un minimo di pietà, almeno nel suo caso.

Diverso il discorso per l’industria pubblicitaria a fini elettoralistici: qui siamo allo sciacallaggio, peraltro controproducente: nella ossessiva, implacabile grancassa sul fascismo della Meloni molti non si ritrovano, anche a sinistra, molti abbandonano questa nave dei folli, e, quanto agli altri, ai normali, a chi tira la carretta, semplicemente non ne possono più e si confortano nel giudizio magari sommario ma definitivo: questi hanno rotto le palle, questi ci marciano ma non ci credono neanche loro, guardali come prosperano, tronfi, arroganti; in ogni modo i problemi sono altri, i nostri problemi sono altri.

I problemi sono, per esempio, che nel 25 aprile degli isterici si son viste orde di maranza imperversare all’insegna del crimine a prato basso al grido: siamo tutti palestinesi. Ma ai maranza della movida milanese di Gaza importa quanto a quelli delle chat di Massimo Giannini: molto poco, quello che preme, a questi e a quelli, è mantenere le rendite di posizione. I maranza hanno scoperto come vivere felici nell’illegalità tollerata, e non intendono rinunciarvi. Allo stesso tempo, abbiamo assistito a focolai di sovversione, se non di eversione bella e buona, al grido “Intifada in Italia”: sono i provocatori usciti dalle università, dalle scuole, dai centri sociali, sono i teppisti climatici, sono gli esaltati e le vecchie volpi del terrorismo d’antan, oggi coordinati dalle centrali della delinquenza anarcoide come l’Askatasuna di Torino, protetto dal Comune, il cui obiettivo è saldare l’effervescenza terroristica nostrana con quella di matrice islamica-palestinese. Orizzonte caro alle Brigate Rosse già dai tempi di Moretti e mai abbandonato: era in agenda ai tempi delle “Nuove BR” di Galesi, della Nadia Lioce, quelle che colpivano Marco Biagi e Massimo d’Antona, e lo è oggi, a maggior ragione, come sanno e dicono gli apparati di sicurezza.

A maggior ragione, perché oggi la saldatura potrebbe anche riuscire. La sinistra che candida le Salis, o guarda agli Scurati e all’amichettismo schleiniano, queste cose le sa benissimo ma continua a barcamenarsi nell’ambiguità di chi sta coi filo Hamas senza dirlo apertamente, ha in fastidio, quando non in odio, Israele e gli ebrei ma non può ammetterlo.

Questa sinistra si illude, oggi come ieri, di poter cavalcare, governare, le spinte centrifughe casiniste, pseudorivoluzionarie in funzione di disturbo verso Giorgia Meloni e allo scopo utilizza il solito bombardamento sull’antifascismo estetico ed egocentrico, delle Scurati, dei Saviano, dei cantautori bolliti amici di Giannini. E delle care memorie come la Murgia, che ha lasciato in eredità una serie di libretti postumi, antifascisti, insieme ad alcune pendenze fastidiose col fisco.

Ricordatemi come vi pare, purché antifascista: ma che vuoi ricordare, ma quale antifascismo museale o cemeteriale. Solo Murgia e gli altri della congrega dello Strega, i visionari per calcolo, possono vaneggiare di “nuovo fascismo”, di “nuove camicie nere” o brune alle porte identificandole col regime di Meloni e del cognato Lollo. Una mera, squallida questione di rendite di posizione cui non si vuol rinunciare, in Rai, nelle Biennali, in tutti i centri di potere e di mangiatoia dal pretesto culturale. È tutto così ridicolo e, a questo punto, siamo ridicoli anche noi che continuiamo a notarlo come per ribadire l’ovvio e il più che ovvio.

Murgia era, nominandola da viva, una non innocente, che sulla provocazione fanatica aveva trovato di che vivere, anche discretamente: le schwa, i segni di interpunzione inclusivi e “antifascisti”, la famiglia allargata, la mitologia di se stessa. In questo un modello, una campionessa della strategia pubblicitaria, una sorta di Chiara Ferragni engagée, della quale tutti oggi cercano di seguire la scia. Ma anche un modello perverso, destinato a sfociare nel patetico. I suoi eredi sono gli Scurati e i Saviano che nel segno dell’impegno inclusivo si scannano fra chi è più censurato, sono le Chiara Valerio, le Valentina Mira, pessime scrittrici, grandi vanitose, discrete cacciatrici di dote politica. Anche per la Murgia si ipotizzava una candidatura, e non c’è dubbio che, fosse viva oggi, sarebbe già proiettata verso Bruxelles. Ma, tacendo dello squallore di un mercato elettorale ormai frammisto al mercato editoriale, dove pensano di arrivare, il Pd e le sue filiali, insistendo in questo sciocco, triste, paranoico vicolo cieco?

Max Del Papa, 29 aprile 2024

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