Oltre alla minaccia dell’armageddon nucleare, siamo di fronte ad un’altra bomba apocalittica. Scade infatti fra sei giorni la tregua per il cosiddetto corridoio del grano, quello da Odessa a Istanbul, siglato mesi fa da Ucraina e Russia con la mediazione delle Nazioni Unite e con il turco Erdoğan a fare da protagonista.
Se il termine non verrà esteso, le navi non potranno più salpare per portare grano e la catastrofe alimentare sconvolgerà almeno 15 grandi paesi africani quali, tra gli altri, Gibuti, Sudan Senegal e Congo, assieme ad alcune nazioni del sud est asiatico vista anche la sospensione delle esportazioni cerealicole dell’India e a ciò si aggiunga, inoltre, il blocco dei fertilizzanti.
Ma anche per l’Europa e l’Italia in particolare sarà una tragedia legata all’immigrazione che sconvolgerà ancora di più le nostre coste. Qualora Putin, ormai in forte difficoltà, non accetterà l’estensione del corridoio, il prezzo del grano aumenterà intorno al 40 per cento, rendendo così impossibile l’approvvigionamento per molti paesi.
In queste ore negoziati riservati si svolgono a Ginevra con un nuovo convitato di pietra: il Vaticano di Bergoglio che, attraverso i buoni uffici della Segreteria di Stato, ha riallacciato il dialogo con il patriarca Krill grazie anche al lavoro del segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, il californiano Monsignor Michael Gallagher, il quale nei mesi scorsi ha avuto colloqui con Giorgia Meloni.
Ma cosa pretende Putin dalla comunità internazionale per estendere nuovamente gli accordi sul corridoio del grano? Una condizione imprescindibile: l’eliminazione delle sanzioni per quelle banche russe che operano sulle commodities con il loro reinserimento nel circuito Swift. Condizione considerata al momento inaccettabile sia per l’Unione Europea e gli Stati Uniti che per la Nato, per questo sono già in navigazione verso Odessa le navi militari dello zar, pronte a bloccare ogni movimento navale. Certamente se ne parlerà al G20 di Bali, dove, accanto a Biden e XI non ci sarà Putin, ufficialmente assente per motivi di sicurezza, in realtà, non vuole allontanarsi da Mosca dove molti generali iniziano a porsi troppi interrogativi sulla “operazione militare speciale” in Ucraina che si sta trasformando in una Caporetto.
Ma cosa sta facendo concretamente il Vaticano di Bergoglio? Anche se nemmeno il Padreterno possa sapere fino in fondo cosa pensano i gesuiti, come peraltro ha sottolineato l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, pare che Papa Francesco si sia fatto sfuggire che dietro lo scambio di prigionieri tra Ucraina e Russia ci sia stata la mediazione vaticana a dimostrazione che i canali fra lo zar e il Papa sono tutt’altro che chiusi. Infatti, nonostante Putin continui a declinare gli inviti vaticani, Lavrov comunque lascia sempre la porta aperta. Tre colloqui telefonici con il Presidente Zelensky, nonostante la sala stampa vaticana ne aveva comunicati solo due in quanto il terzo era funzionale a distendere i toni a seguito dell’ondata di proteste e ingiurie che da Kiev si erano riversate su Bergoglio dopo le parole che aveva pronunciato per compiangere la figlia di Dugin, definendola “una povera ragazza volata in aria per una bomba”.
Appena atterrato a Roma dal Bahrein, il Papa ha ricevuto il capo della Chiesa cattolica ucraina, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, in quanto latore di molti messaggi. Uno di questi sarebbe relativo a quanto è trapelato qualche giorno fa: Leonid Sevastianov, presidente dell’Unione Mondiale dei Vecchi Credenti, una costola scismatica della Chiesa Ortodossa Russa, ha esibito alla stampa russa un biglietto autografo di Bergoglio con il quale il Santo Padre offriva il Vaticano come sede per i colloqui tra Stati Uniti, Nato, Europa, Russia e Ucraina “sulla sicurezza alimentare”. Sevastianov ha alluso a non meglio precisate “dichiarazioni” del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov che gli avrebbero confermato che “il Vaticano è nella lista dei paesi amici della Russia ed è neutrale. Ed essendo anche amico dell’Ucraina, degli Stati Uniti e della Nato, il Vaticano sarebbe un luogo ottimale per i colloqui”. Recentemente, in occasione della visita alle Nazioni Unite del Cardinale Parolin, a margine un incontro riservato con Lavrov, il porporato è uscito sconvolto nell’apprendere che la ventilata guerra mondiale, finora solo mediatica, sarebbe stata vicina ad una svolta reale.
A questo si riconduce l’udienza tra il Pontefice e Mácron dello scorso 24 ottobre nel corso della quale il presidente francese ha chiesto a Francesco di aprire il canale diplomatico con la Russia, a nome di tutto l’occidente. Bergoglio in questi ultimi mesi ha finalmente capito come la diplomazia vaticana, vero strumento di sopravvivenza della Chiesa nel mondo ma trascurata da lui per tanti anni, possa ritornare centrale. E con la rinnovata centralità del Vaticano, un ruolo importante potrebbe svolgere l’Italia, così come è accaduto durante la “Prima Repubblica”.
Giorgia Meloni, che Bergoglio avrebbe definito, in modo affettuoso, la “pequeña rubia” per dire piccola bionda e che per la sua verve nazionalista potrebbe ricordargli Evita Peron, potrebbe ottenere anche lei un ruolo importante perché donna e anche perché neofita di giochi e intrighi internazionali.
I cerimoniali sono già al lavoro per preparare la sua prima visita ufficiale in Vaticano dopo che alcuni autorevoli cardinali, da Parolin a Zuppi da Sarah a Burke l’hanno già incontrata più volte privatamente, trasmettendo giudizi molto positivi. Per Meloni, dunque, dopo la gaffe diplomatica con Parigi (ma a Chigi non c’è nessuno che ragioni prima di mettere fuori comunicati?) si apre una grande opportunità, magari proprio sulla scia del vescovo di Roma. Se ne parlerà nel prossimo incontro, a quattr’occhi, del resto Moro e Andreotti l’hanno fatto per anni.
Luigi Bisignani, Il Tempo 13 novembre 2022