Papa Francesco rompe il silenzio. O meglio, lo fa il Vaticano. Dopo la pubblicazione degli articoli sulla “conversazione, a porte chiuse, con i vescovi della Cei”, in cui qualcuno ha spifferato quelle frasi sulla “frociaggine“, finalmente la Santa Sede si “scusa”.
Il Santo Padre, fa sapere il direttore della Sala Stampa, “è al corrente degli articoli usciti di recente circa una conversazione, a porte chiuse, con i vescovi della CEI”. Poi aggiunge: “Come ha avuto modo di affermare in più occasioni, nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti”. Insomma, come precisa il portavoce vaticano Matteo Bruni, benché sia difficile da credere Bergoglio “non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri”.
E qui bisogna notare un dettaglio, mica da niente. Ieri il Corriere infatti aveva tentato una difesa in extremis di Francesco, addossando le colpe dell’utilizzo del termine “frociaggine” al fatto che il Santo Padre non padroneggerebbe bene la lingua italiana. E dunque non fosse al corrente di quanto potesse risultare offensiva quella parola. Un assist che la Sala stampa del Vaticano avrebbe potuto cogliere al volo e che invece non appare nel comunicato.
In fondo in queste ore si erano levate numerose voci di protesta. Non solo i vescovi, che rumoreggiano (chi avrà fatto uscire la soffiata?). Ma anche il parroco pugliese don Dino D’Aloia, direttore dell’ufficio di pastorale con le persone Lgbtq a San Severo. “Tu sai quanto amiamo e amo la tua predilezione per i piccoli e gli indifesi – si legge nella lettera – Permettimi però di dirti che proprio per questo certe volte non comprendo il tuo fare un passo avanti e uno indietro”. E ancora: “È ovvio che nel sacerdozio celibatario attualmente sostenuto dalla Chiesa così come per gli eterosessuali anche per gli omosessuali non c’è posto per rapporti fisici intimi ma non capisco perché un omosessuale dovrebbe essere escluso dal seminario e dal sacerdozio solo perché senza sua scelta si ritrova a vivere la sua condizione affettiva. Questa direttiva é fortemente lesiva dell’aspirazione vocazionale che Dio mette nel cuore di alcuni omosessuali. Che poi in questo modo non si fa altro che invitare al nascondimento, alla finzione e all’ipocrisia. Non c’è altra strada per chi sa di essere gay e desidera la santità nel sacerdozio. Io stesso – conclude – conosco preti che vivono questa condizione non scelta e sono di grande esempio per me”.
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Articolo in aggiornamento
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