Scende una lacrimuccia, a scorrere gli album fotografici degli ultimi Papi: da Giovanni Paolo II, alleato del mondo libero contro la barbarie comunista, a Benedetto XVI, baluardo della civiltà occidentale contro la deriva relativista. Con Francesco, la tendenza si è invertita. E la visita a Roma del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ne è un esempio disturbante.
La Santa Sede ha mascherato il rifiuto di Jorge Mario Bergoglio di incontrare il ministro americano come un gesto di pura opportunità formale: negli Stati Uniti c’è la campagna per le presidenziali e il Pontefice non vuole dare l’impressione di parteggiare per uno dei contendenti. L’ha ribadito, ieri, il responsabile vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher.
Francesco si sarebbe preoccupato di evitare che la sua partecipazione al convegno sulla libertà religiosa, organizzato dall’Ambasciata statunitense presso la Santa Sede, fosse strumentalizzato. Strano che il Papa non si preoccupi di altre strumentalizzazioni: quattro anni fa, ad esempio, non si preoccupò di affermare, nel pieno dell’altra campagna elettorale americana, che “chi costruisce muri non è cristiano”; non si è preoccupato di far erigere in Piazza San Pietro una statua dedicata ai migranti; non si è preoccupato di incontrare le associazioni Lgbt cattoliche; non si è preoccupato di prostrarsi davanti a un idolo pagano. Non si preoccupa, insomma, di offrire argomenti ai nemici laicisti della Chiesa. Si preoccupa solo che una sua uscita pubblica non sia equivocata dalla Cina. E preferisce essere considerato subalterno a Xi Jinping, pur di non passare per supporter di Donald Trump.
Resa al regime comunista
Già, perché in ballo, in verità, c’è la frattura con Washington in seguito all’incredibile cedimento del Vaticano a Pechino. Con il regime comunista, la Santa Sede ha siglato un accordo sulla nomina dei vescovi, i cui dettagli restano tuttora riservati. Quel che è certo, è che da quanto Bergoglio ha pensato di inaugurare la sua Ostpolitik con il Dragone, la condizione dei fedeli cinesi è peggiorata. Basta dire che tutti i vescovi e i cardinali che, nel loro Paese, hanno patito per anni le persecuzioni, sono contrari all’appeasement. A cominciare dal porporato Joseph Zen: a proposito, il Papa si è rifiutato di ricevere in udienza anche lui.
Quella di Francesco è una resa incomprensibile, soprattutto se messa a confronto con la linea che il suo predecessore polacco tenne con l’Unione Sovietica. Aldo Maria Valli, un vaticanista di formazione progressista ma sconcertato dalla deriva dell’attuale Pontificato, l’ha definita un’offesa ai martiri della tirannide comunista cinese. Non sbaglia.
Altro che Papa tradito
E non sbaglia neppure chi rimane perplesso dalla retorica sul Papa che voleva moralizzare la Chiesa, però è stato tradito dai suoi collaboratori. La alimenta, ad esempio, Repubblica, che prima pubblica le carte sull’ultimo scandalo finanziario che coinvolge il cardinale dimissionario, Angelo Becciu, ma poi intervista il fedelissimo di Bergoglio, monsignor Óscar Maradiaga, che se la prende con il complotto dell’estrema destra mondiale, foraggiata da Steve Bannon. Sarà al soldo dei sovranisti anche la vedova di un ex diplomatico honduregno presso la Santa Sede, che aveva accusato Maradiaga di averla indotta a investire i suoi risparmi in un fondo gestito da un amico musulmano del prelato, che poi ha intascato il denaro e non si è fatto più vedere?
Il punto è che questo Papa governa la Chiesa da quasi otto anni. Gli incarichi in Vaticano li ha distribuiti (e li ha revocati) lui. Becciu è stato un suo protetto. Libero Milone, l’ex revisore dei conti, lo nominò lui – e poi lo fece licenziare. Sono vicini a lui anche i due vertici dell’Apsa, l’amministrazione presso la quale il Papa vorrebbe centralizzare il controllo delle finanze vaticane, limitando persino l’autonomia della Segreteria di Stato. Una mossa corretta: la moltiplicazione dei centri di spesa ha consentito che alcune «cricche» agissero al di sopra di ogni regola e controllo. Per dire: l’assessore dell’Apsa è uno dei pupilli di Bergoglio, il monsignore argentino Gustavo Zanchetta. Peccato che costui, in patria, sia implicato in un procedimento giudiziario per abusi su alcuni seminaristi. Doveva essere stato sospeso in attesa che la vicenda fosse chiarita e, invece, a giugno è tornato in ufficio, quasi di straforo. Dalla Santa Sede, nessuna nota ufficiale, nessun chiarimento. Il Pontefice organizzò un sinodo sugli abusi, avallando la linea giustizialista della “tolleranza zero”, ma poi vorrebbe che il supervisore dei forzieri della Chiesa sia un uomo accusato di aver molestato i seminaristi. Un uomo di cui, peraltro, lui stesso ebbe a dire che «economicamente è disordinato». Avete capito bene: insieme al capo dell’Apsa, monsignor Nunzio Galantino, a gestire la cassaforte vaticana dovrebbe esserci un prelato «economicamente disordinato». E intanto, a Pechino, i comunisti cinesi se la ridono.
Alessandro Rico, 1° ottobre 2020