Politica

La crisi di governo

Il paradosso Draghi: ottiene 2 volte la fiducia, ma va a casa

La stranezza della politica italiana: la crisi più pazza che ci sia, con un governo che va a casa senza essere sfiduciato

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Si dice che la politica italiana sia la più fantasiosa del mondo. E forse è vero. Guardate quanto successo in Gran Bretagna: dopo un po’ di scandali, il partito di maggioranza ha deciso di mandare a casa Boris Johnson, si è riunito per scegliere un successore e in breve tempo metterà un altro leader al numero 10 di Downing Street. Facile. E lineare. In Italia invece, regno dei bizantinismi e delle trame, tutto si fa molto più complicato. E per certi versi anche assurdo.

Il voto “disgiunto” del Movimento

Partiamo dall’inizio di questa storia. Al netto delle fibrillazioni nel Movimento Cinque Stelle, tra scissione di Di Maio, presunti sms di Draghi a Grillo e mal di pancia sul termovalorizzatore, il momento che ha dato il via alla crisi di governo è stato una scelta politica di Giuseppe Conte. Ovvero la decisione di strappare con la maggioranza sul decreto Aiuti. Legittimo. Ma qui si registra la prima stranezza. Perché il Movimento Cinque Stelle ha prima votato la fiducia al dl alla Camera e poi ha “non votato” la stessa fiducia al Senato. Direbbe uno straniero: che senso ha?

Le dimissioni con la fiducia

Nessuno. Però sono i fatti, provocati anche da regolamenti parlamentari che cambiano tra Senato e Camera. Alla fine, il M5S è uscito dall’Aula di Palazzo Madama senza così esprimere né un voto favorevole né un voto contrario. Il tutto ha provocato un paradosso incredibile: il ministro Patuanelli, che è senatore, non ha votato la fiducia a se stesso. Il risultato comunque non è andato così male: il governo presieduto da Mario Draghi ha ottenuto la fiducia a larghissima maggioranza, sostenuto da Lega, Forza Italia, Pd, Di Maio, Renzi e via dicendo. Eppure… eppure il premier si è dimesso.

Il No di Mattarella

E qui sta la seconda stranezza: un premier legittimato dal voto parlamentare sale al Quirinale per rimettere il mandato. Si è trattata di una scelta politica, ovviamente: Draghi pochi giorni prima aveva detto che non avrebbe guidato un governo senza il M5S e ha ritenuto che il “non votare” la fiducia da parte dei grillini avesse rotto “il patto alla base dell’azione di governo”. Insomma: il premier era convinto di non poter andare avanti. Eppure… eppure il presidente della Repubblica ha respinto le dimissioni.

La seconda fiducia

Terza stranezza: ci siamo ritrovati con un premier dimissionario costretto a cercare un accordo quasi impossibile. Sforzo che si è rivelato oggi inutile, dopo 12 ore di discussione in un Senato che tutto aveva tranne quel clima di apprezzamento per Supermario che si era respirato un anno fa durante l’insediamento dell’esecutivo. Esito finale: Lega, Forza Italia e M5S hanno deciso di “non partecipare” al voto sulla risoluzione di fiducia presentata da Casini e sostenuta da Draghi. Risultato: il governo ha ottenuto 95 voti a favore e 38 contrari, dunque tecnicamente ha ottenuto la fiducia (per la seconda volta). Certo con un numero molto basso di partecipanti alla chiama, però comunque un esito positivo. Eppure, pochi secondi dopo è subito iniziato il diluvio di dichiarazioni sulla caduta di Supermario.

Il premier non va al Colle

A questo punto, direte, la storia si semplifica. Se i partiti non lo vogliono, Draghi va al Colle e la chiude qui. Invece no. Perché il premier ha deciso di non salire al Quirinale stasera per rassegnare le dimissioni. Anche questa, in fondo, è una piccola stranezza visto che – solo pochi giorni prima – si era presentato da Mattarella dopo un voto di fiducia molto più “solido” di quello odierno e con una sola forza politica defilatasi (il M5S) contro le tre di oggi (5S, Lega e Forza Italia).

Adesso non resta che attendere per capire quale coniglio tipicamente italiano tirerà fuori dal cappello Mattarella. O magari sarà Draghi a sorprenderci: ormai, viste le giravolte degli ultimi giorni, nulla appare impossibile. Tecnicamente, le dimissioni del premier di domani potrebbero essere “congelate” dal Presidente, permettendogli così di restare alla guida del governo non solo per il disbrigo degli affari correnti ma anche per l’attività ordinaria. Addirittura, il governo dimissionario, potrebbe anche varare la manovra prevista per l’inizio di settembre. Tecnicismi. E chi li capisce, è bravo.

Giuseppe De Lorenzo, 21 luglio 2022