Sul sostanziale rifiuto, tra astensioni e voti contrari, che ha ricevuto il nuovo Patto di stabilità europeo da parte dell’Italia in quel di Strasburgo, mi sento di sottoscrivere appieno l’ironia di Paolo Gentiloni, commissario Ue per gli affari economici: “Abbiamo unito la politica italiana.”
Ora, al netto del fatto che si approssimano le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che hanno spinto all’astensione anche il partito della Meloni per non farsi scavalcare a destra dalla Lega, ciò che emerge è il solito, sconfortante quadro di un Paese sostanzialmente irresponsabile sul piano dei conti pubblici. In questo senso concordo abbastanza con l’analisi esposta da Salvatore Merlo nel corso della puntata di mercoledì di Omnibus, in onda su La7.
In estrema sintesi, rilevando una sorta di irresponsabilità storica della politica italiana proprio sul versante finanziario, ha puntato il dito sulla colossale devastazione, che ancora si riverbera pesantemente sul bilancio dello Stato, determinata dalla follia del superbonus edilizio fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte e, mi permetto di aggiungere, approvato senza fare una piega dai suoi soci di allora del Partito democratico.
Tuttavia, mi sento di aggiungere un elemento che spesso manca in questo tipo di sacrosante riflessioni, nelle quali si tende a scaricare tutta la responsabilità di una condizione che, esattamente come sostenuto da Merlo, ci sta portando al default esclusivamente sulla classe politica. In realtà, su questo piano è importante sottolineare quanto ebbi la fortuna di ascoltare alla radio da parte di un analista politico molti decenni addietro, durante l’adolescenza: “La classe politica non viene da Marte. Essa non è altro che una emanazione del tessuto sociale a cui appartiene.”
In questo senso nella Teoria della scelta pubblica, elaborata dal Nobel James Buchana, viene definita in modo magistrale l’interazione tra elettori e propri rappresentanti. Interazione che, in un sistema che inclina verso forme diffuse di assistenzialismo e di voto di scambio legalizzato, impedisce anche ai politici più responsabili e lungimiranti di adottare strategie politiche fondate sull’equilibrio dei conti pubblici (Il trionfo elettorale dei grillini nel 2018, che avevano promesso mare e monti erga omnes, né è la dimostrazione più lampante).
Tutto questo, tornando allo spunto iniziale, tende a rendere omogenea la stessa classe politica sul piano del rigore finanziario, unificandola in quello che potremmo definire come il partito unico della spesa pubblica. Partito unico che affonda le sue radici nel tempo, visto che durante la cosiddetta prima Repubblica ben il 95% delle leggi di spesa erano state approvate in Parlamento con il voto favorevole del Partito comunista italiano. I tempi passano ma, al netto del solito, orrendo chiacchiericcio sull’antifascismo in assenza di fascismo, i problemi sistemici del Paese restano in tutta la loro ineluttabile drammaticità.
Claudio Romiti, 24 aprile 2024
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