Il “patriarcato”, Cecchettin e gli immigrati: perché Valditara dice il vero

L’innocuo ministro bastonato per aver affermato l’ovvio. Il vero problema è un altro, ma gli ipocriti non vogliono vederlo

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Gino Cecchettin manager

La prima cosa che non si capisce, e non si capisce perché non ha senso, è per quale motivo uno che ha avuto una disgrazia come una figlia trucidata, debba diventare maestro di pensiero. Così, per automatismo, corroborato da sovraesposizione mediatica. Gino Cecchettin lancia in grande stile una sua fondazione in memoria della figlia Giulia e intervengono tutti, lo ascoltano, magari predicare il contrario che nella vita di prima, diventa una fonte di saggezza indiscutibile anche quando parla di cose che non sa. Ha girato le sette chiese televisive, ha detto del patriarcato, del maschio bianco tossico, lui come l’altra figlia, Elena, che si scusa sui social di non essere presente alle udienze per l’assassino della sorella, il giovane Filippo Turetta, l’alieno dalla faccia stravolta, dalla luce malata negli occhi.

Parla anche il ministro Valditara, dice una di quelle cose retoriche, che si perdonano ai ministri in quanto politici, dice che il patriarcato (al quale non credono più nemmeno gli elettori di Kamala Harris) non c’entra, che è se mai questione di cultura, per dire di educazione e in questa scarseggiano gli immigrati che si tengono la loro, sicché se patriarcato c’è, questo il pavido Valditara non lo specifica ma ne consegue per forza di cose, non è “bianco tossico occidentale” ma sta altrove, proviene da altrove, un altrove che non entra, non si mette d’accordo con la cultura che vorremmo somministrargli, di cui vorremmo contagiarli o esorcizzarli.

Va a finire, tanto per cambiare, che l’innocuo il ministro lo bastonano, lo insolentiscono, ne chiedono, addirittura, le dimissioni. Ma si è limitato all’ovvio dei numeri, ai riscontri del Viminale da cui esce che un delitto su tre in materia femminile si deve agli stranieri indisponibili a venire a patti con una cultura ospitante di cui non si curano, che neppure conoscono. Dove sta lo scandalo? Oggi su “la Verità” un articolo di Antonello Piroso, che anche questo non scopre niente di nuovo ma ha il pregio del del “repetita juvant”, del ribadire l’ovvio dei popoli che il potere non accetta: li lasci entrare, li lasci fare e questi impongono la sharia, la loro legge maschilista. Ed è così, anche se la politica dal vertice in giù si volta dall’altra parte come si volta ogni volta che una Saman viene fatta fuori o fatta sparire dalla famiglia perché voleva essere occidentale, ogni volta che una ragazzina si toglie il velo e viene pestata dalle coetanee come pochi giorni fa a Modena.

L’altra faccenda insulsa al limite del patetico è lo spreco di retorica burocratica, di miopia burocratica: insegnare, insufflare la Costituzione, la sacra Costituzione, immutabile come le tavole di Mosè, che ci salva dagli omicidi brutali come dai cambiamenti climatici. Impartita a chi? A studenti zombie, analfabeti, allevati da genitori non meno immaturi di loro, perfettamente inseriti nel consumismo post democratico ma del tutto allo sbando? A chi la reciti la Costituzione? A quella che a 13 anni ha accoltellato un quindicenne a Scampia perché “si era scocciata”, al moccioso di 10 anni, e diciamo dieci anni, che ha bucato uno di 13 mentre giocavano a palla sempre a Napoli?

La Costituzione va bene per le contorsioni parlamentari, ma, ci perdonino i don Patriciello che sgomitano, nelle Geenna che non sono solo di Napoli, che spuntano dalle Alpi a Capo Passero, servono a niente se prima non si fa un lavoro di responsabilità comune, se non ci si guarda bene dentro e si impone un minimo di severità che coincide col buon senso. Ma finché regge l’aberrazione del “Nessuno tocchi Caino!”. A Milano, nella civile, futuristica Milano che qualche ricerca esoterica ha posto in cima alle città vivibili, se fate un giro alla Barona vi capita di venire cacciati a minacce da un supermercato, unici bianchi occidentali, per niente tossici, per niente patriarcali, da un esercito velato di donne sottomesse e di maschi che le sottomettono. Nella cintura metropolitana e ultrametropolitana non si vive, a Pioltello e negli altri buchi dell’hinterland comandano quelli della madrassa vicino alla stazione, in centro arrivano le bande di ragazzini che ti travolgono, ti provocano, ti scippano, le linee della metro non fanno in tempo ad aprirle che già se le spartiscono bande di Nigeria, di latinos e anche di italiani. Da San Siro partono le ondate concentriche del crimine organizzato che “vuol prendersi il centro e tutta la città”, si spartiscono curve e affari, si intrattengono coi trapper e i rapper che, segnatevi queste righe perché dovremo riparlarne prestissimo, vanno a Sanremo “a rifarsi l’immagine”, nel segno della perennità tra Ama e l’Abbronzato Conti. Un rapporto dell’antimafia ha scritto che Milano “vive sulla pace sociale tra organizzazioni mafiose che hanno più interesse ad intraprendere che a muoversi guerra”.

E se Milano è il meglio, figurarsi il resto.

Sì, sarà anche un problema di educazione civica, ma allora qui va smontato e rifatto tutto da capo: non te la puoi cavare aprendo un parco giochi nella Geenna dove i bambini volano dalla finestra, parlandogli di una cosa per loro incomprensibile, magari infilandoci dentro le paranoie manovriere e strumentali della politica politicante. La Costituzione come un vaccino sociale, un incantesimo: ma è come dar da leggere Omero agli analfabeti o ai sordi. La Costituzione italiana per chi? Per gli italiani che non si curano di esserlo? Per quelli che non vogliono assolutamente diventarlo? O per quelli che lo sono e non lo sono a seconda della convenienza? Uno come Ghali, che attualmente gira con Casarini a perorare la causa immigrazionista senza discernimento, nasce, cresce a Milano ma la sua cultura di base resta quella tunisina dei genitori ed è una cultura ostile, diffidente verso un Paese che non sente suo, che accetta, anche se l’ha reso ricco, ma fino a un certo punto e con mille riserve.

Terza distorsione, che fa comodo al clero dei Casarini e degli Zuppi, come alla politica destabilizzante finanziata da Soros, è scambiare un crimine orrendo, ma malato, palesemente deviato, con il patriarcato nazionale. Quando se mai è l’esatto contrario: Filippo Turetta era impazzito all’idea di perdere la morosa, di venire estromesso, di essere abbandonato, era uno che a 22 anni dormiva con l’orsacchiotto, un fuscello capace di crudeltà inusitate, tutto tranne che un patriarca. Quello che non si vuol vedere, è che sempre più maschi, ammesso ne rimangano, semplicemente vanno fuori di testa all’idea di venire scaricati, nella loro mente non ce la fanno e quando se ne rendono conto si sono già arresi e cancellano tutto, distruggono tutto, anche i figli. Si scagliano nel baratro non perché padri padroni, mariti padroni, ciò che la società consumistica non gli consente più da tempo, viceversa in quanto terrorizzati, deboli, consapevoli di non poter reggere una vita senza la compagna. Inetti, e infetti, ma dominanti proprio no.

La specie del maschio dominante, in estinzione, sopravvive ancora in certi abissi del profondo sud, dove ci si dà ancora del voi e l’unità del Paese non è davvero arrivata neppure per via consumistia, sembra congelata a prima del 1860. Giorgio Bocca, che il sud non lo amava, aveva una teoria interessante, i suoi ritardi, i suoi rituali patriarcali come retaggio della dominazione araba. Se ne può discutere, ma crocifiggere un ministro che dice l’ovvio, e lo dice in punta di piedi, è davvero troppo ipocrita e l’ipocrisia del non vedere, del voler capire per non voler capire, finisce sempre per peggiorare le cose.

Un po’ come quelle professoresse che, quando in classe una sui 12 anni tira fuori il serramanico dalla trousse per sbudellare un compagno o un insegnante, dice, a larghe falcate, senza fermarsi, inseguita dai cronisti adoranti, tipo Taylor Swift: “Bisogna capire”. Giusto, bisogna capire perché tutti si ostinino a non capire, a capire alla rovescia, perché nessuno si voglia rendere conto che di tempo da perdere con le mistificazioni narcisistiche non ce n’è più.

Max Del Papa, 19 novembre 2024

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