Il Pd chieda al Pd perché non c’è ancora lo Ius Soli

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ius soli

L’Italia è il Paese della memoria corta. È risaputo. Ma è anche il regno dei grandi dibattiti estivi nati un po’ per riempire i giornali e un po’ per marcare qualche differenza tra i partiti, altrimenti tutti così simili sotto gli ombrelloni di Forte dei Marmi. Ecco. Il gran can can di questi giorni sullo Ius Soli e lo Ius Culturae incarna entrambi i vizi italici: quello di dimenticare e quello di scannarsi sul sesso degli angeli.

Di cittadinanza ai figli degli immigrati se ne parla dall’anno del mai. Tempo immemore. Nonostante un susseguirsi di governi di ogni colore, da Monti a Renzi, passando per Gentiloni, Letta e Conte, la norma non è mai cambiata. Legge che peraltro conferisce più cittadinanze rispetto a tutti gli altri Stati dell’Ue: secondo Eurostat, nel 2022 l’Italia ha regolarizzato quasi 214 mila cittadini stranieri, ben più di Spagna (181 mila), Germania (167 mila) e Francia (114 mila). Il dato peraltro era in crescita rispetto al 2021. Questo significa che il nostro sistema è il più liberal d’Europa? No. Ma a suo modo funziona.

Fatta questa premessa, torniamo alle questioni politiche. Oggi a sinistra è un gran tirare la giacca a Forza Italia, che peraltro sembra intenzionata a farsela tirare, forse a causa del richiamo sui diritti della famiglia Berlusconi, per spingere gli azzurri ad approvare una legge sullo Ius Scholae e rompere così le uova nel paniere della maggioranza. La Lega risponde picche. FdI idem. Il che ovviamente non sorprende. Stupisce invece l’indignazione della sinistra per le resistenze di un pezzo del centrodestra: se l’Italia non può vantare una norma sullo Ius Soli o sullo Ius Scholae gran parte della colpa, o del merito, è del Pd.

Forse in pochi ricordano che nel 2015 la Camera approvò un testo che nel 2017 venne affossato proprio dalla maggioranza del governo Gentiloni. L’attuale Commissario Ue, consapevole dei rischi per l’esecutivo, si guardò bene dal porre la questione di fiducia e il Parlamento non raggiunse il numero legale. Assenti i senatori del M5S, ma anche una larga fetta dei dem. Lo stesso accadde nella legislatura successiva, quella per intenderci che ha potuto godere dei governi gialloverde, giallorosso e Draghi. Alla Camera iniziò una discussione sul tema, ma si arenò. E infatti ancora oggi siamo qui a discuterne, in maniera un po’ paradossale, nella legislatura meno logica per farlo: al netto delle diverse sensibilità, infatti, la maggioranza attuale non ritiene il tema degno di essere affrontato. È sbagliato? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma di certo FdI e Lega non possono essere accusati di non aver rispettato il mandato elettorale. Diverso il discorso per la sinistra, che anziché sbraitare oggi avrebbe potuto adoperarsi meglio quando occupava la stanza dei bottoni.

Che poi parlare per slogan è semplice, ma dietro alle formule si nascondono decine di interpretazioni diverse. Il lungo elenco dei definizioni riflette a pieno l’andatura in ordine sparso dei vari partiti: ch’è chi propone lo Ius Soli puro (sinistra e Pd di Boldrini), chi lo Ius Soli temperato (un pezzo del Pd), chi lo Ius Culturae (renziani e Pd), chi lo Ius Scholae (Azione, Iv, Avs, M5S) ma con declinazioni diverse sugli anni di studi da completare (chi 5 e chi, come Fi, impone la scuola dell’obbligo fino a 16 anni). Insomma, un gran caos che a volte si replica anche all’interno di uno stesso partito: il Pd, per dire, ha presentato tre proposte. Una diversa dall’altra.

Giuseppe De Lorenzo, 22 agosto 2023

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