Il Pd dichiara guerra alle università telematiche

Rettori, docenti e studenti politicizzati non vogliono la competizione libera. E il motivo è molto semplice

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schlein università telematiche

Il titolo del Convegno del Pd, a cui parteciperà il 18 aprile a Roma anche Elly Schlein, è assolutamente condivisibile, per quanto ovvio e banale: Ridiamo valore all’Università. Chi non vorrebbe ridare valore a un’istituzione fortemente in crisi, ma essenziale per lo sviluppo del Paese preso nel suo complesso? Chi non vorrebbe far ritornare l’Università ad essere quella palestra di studio e ricerca che è stata quasi sempre in passato, almeno qui in Occidente? Tutto sta a capire come farlo. E qui, come suol dirsi, casca l’asino, cioè il Pd.

Come ci dice ancora il titolo del convegno, il partito della Schlein propone due ricette: “più diritto allo studio”, che è la solita solfa democraticista che ci ha portato alla dequalificazione universitaria attuale, e “meno telematiche”, che è una soluzione non solo sbagliata ma che fa anche sorgere un sospetto. Perché prendersela, infatti, in modo così visibile, con le università telematiche, che sono in Italia pochissime e che, essendo sorte negli ultimi anni, non possono essere certo la causa di uno sfascio che è iniziato almeno mezzo secolo fa?

Il sospetto che ci assale è molto semplice: non è che tutto questo ambaradan è stato messo su dai piddini non per valorizzare l’apprendimento universitario, ma semplicemente per sopprimere in culla un bambino che sta dando i primi vagiti ma che, per la sua stessa natura, rischia di mettere in discussione quel potere sistemico che fa oggi il bello e il cattivo tempo nelle università statali e che esso sì è imputabile del loro declino attuale? Un potere che si presenta come un organismo elefantiaco che svolge male il suo compito principale, cioè la formazione delle nuove generazioni, ma molto bene quello di fungere da cinghia di trasmissione delle visioni del mondo, sempre più banali, che sorreggono nel nostro Paese la cosiddetta “egemonia culturale” di sinistra? Tanta enfasi contro le telematiche, di cui il convegno romano è solo l’ultimo esempio, non si spiegherebbe altrimenti. Che i nostri siano qualcosa di più che semplici sospetti non ci vuole molto a capirlo: basta guardare la realtà senza gli occhiali dell’ideologia e fare qualche semplice riflessione o ragionamento.

Prima di tutto occorre smontare la tesi che vorrebbe la didattica online, in assoluto e per principio, di un livello qualitativamente inferiore a quella “in presenza”. È così? La risposta è: no, dipende. Sicuramente per la crescita emotiva e caratteriale dello studente, il rapporto interpersonale con i docenti e con gli altri studenti è da preferire. Per quanto concerne invece l’apprendimento, anche se non lo si vuole ammettere, la didattica online è superiore a quella in presenza da almeno due fondamentali punti di vista. La lezione online, proprio perché resta in linea ed è giudicabile da tutti, esige una preparazione che non sempre il docente fa quando va in aula. Detto altrimenti, online c’è meno improvvisazione e più attenzione a ciò che si insegna.

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Anche per gli studenti ci sono però non pochi vantaggi, in primo luogo quello di poter riascoltare la lezione e modularne la fruizione secondo la propria capacità di apprendimento e i tempi a propria disposizione. Se poi, da questo discorso teorico, ne passiamo ad uno di fatto, osserviamo che oggi le università private esigono comunque una quota di partecipazione in presenza dai propri iscritti, seppur minima, e che quelle statali laureano spesso studenti che hanno frequentato poco o niente affatto le lezioni. Quindi, il problema è semplicemente mal posto. In definitiva, si può dire che non esiste un modello buono ed uno cattivo in assoluto: la qualità della formazione dipende dalle circostanze e dagli individui e probabilmente raggiunge l’optimum con un sapiente dosaggio di lezioni in presenza e lezioni telematiche.

D’altronde, come ci ricordano due esimi studiosi come Luigi Marco Bassani e Carlo Lottieri, autori per l’Istituto Bruno Leoni di un Position Paper sul tema che sarà presentato a Montecitorio mercoledì prossimo, solo un sistema ove ci sia una libera competizione di modelli educativi, e una pluralità di opzioni formative, può raggiungere un accettabile equilibrio. In verità, è proprio questa competizione libera che rettori, docenti e studenti politicizzati, nonché i sindacati, non vogliono. Caduta la pregiudiziale qualitativa, è evidente allora che la lotta da loro ingaggiata contro le università telematiche intende semplicemente perpetrare il potere della corporazione e quell’ideologia di supporto alla sinistra di cui essa si è da tempo solido baluardo. Smascherare i motivi che stanno dietro questa operazione di retroguardia è perciò sacrosanto. Anche in questo caso, contro una sinistra attaccata al proprio potere, bisogna che la destra si proponga semplicemente di aprire porte e finestre, far respirare aria nuova ad ambienti chiusi ed asfittici. È una battaglia di cultura e di libertà, cioè di due valori che vanno sempre a braccetto.

Corrado Ocone, 8 aprile 2024

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