C’è chi ha scelto di far su baracca e burattini e traslocare nel Terzo Polo, vedi Enrico Borghi passato alla corte di Matteo Renzi. C’è chi ha sbattuto la porta all’Europarlamento, come Caterina Chinnici. C’è chi dopo anni di militanza nei riformisti, come Andrea Marcucci, ha scelto di partecipare al percorso della federazione centrista (auguri) svestendo la casacca dem. Da Carlo Cottarelli in giù i malumori per la nuova linea massimalista imposta da Elly Schlein si sprecano. Voci di corridoio danno in fibrillazione altri grandi nomi, da Giuliano Pisapia a Pina Picerno, passando per Marianna Madia, Lia Quartapelle e tanti altri. Una tensione non sopita che oggi esplode in tutta la sua forza sulle pagine di Repubblica con l’intervento di tre riformisti del Pd che intendono “contrastare la scelta della segretaria di un Aventino sulle riforme”. Come a dire: daremo battaglia interna.
La fronda interna al Pd
I tre ribelli, Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini, ammettono che Elly ha “pieno diritto di tentare di realizzare la piattaforma politico-culturale e programmatico con cui ha vinto il Congresso del Pd”. Ma tutti sanno che il Partito Democratico, nato dalla stramba unione tra ex Dc e ex Pci, tutto è tranne che una armata unita pronta a seguire il proprio leader. Correnti e correntine si sprecano, così come le differenze di vedute sui temi caldi: le riforme, per dirne una; ma anche utero in affitto, diritti, economia. Per questo i riformisti avvisano Schlein che la loro sarà una battaglia interna all’ultimo sangue per evitare un “regresso verso un antagonismo identitario incoerente con la natura stessa del Pd come partito a vocazione maggioritaria”. “C’è una larga parte dell’elettorato di centrosinistra che ha bisogno di un riferimento solido, e oggi non lo trova”, scrivono annunciando l’avvio di “un’occasione di confronto” aperta “anche all’esterno del partito” per rilanciare l’agenda riformista. Cioè un partito nel partito opposto a Elly Schlein.
Quanti guai per Schlein
Il loro obiettivo è quello di promuovere “una visione, una cultura politica e una proposta programmatica distinta e, per molti aspetti, alternativa a quella di Schlein”. Vogliono “alzare la voce” senza – per ora – ulteriori fuoriuscite. Ma l’esposizione mediatica così netta di una contrapposizione interna alla linea Pd non giova certo all’unità partitica che Elly cercava per rincorrere nei sondaggi (e alle urne) Giorgia Meloni. Al momento, infatti, non solo Schlein non è riuscita a trovare un punto di caduta con i possibili alleati del Movimento Cinque Stelle, ma con tutta evidenza non riesce neppure a gestire il dissenso interno. Che si sta facendo sentire più forte che mai.
La rivolta dei riformisti
È come se le due vecchie anime del Pd, quella cattolica di centrosinistra e quella post-comunista dei Ds, siano di nuovo emerse in tutte le loro contraddizioni. Scrivono i riformisti: “Quando Schlein sembra tentata – in tema di riforme istituzionali – dal rifugiarsi nell’Aventino, con il fallace argomento che non si tratterebbe di questione prioritaria nell’agenda del Paese, tocca a noi riformisti un’aperta contestazione di una scelta che – contraddicendo una delle architravi della piattaforma del Pd e, prima ancora, dell’Ulivo del 1996 – finirebbe per trasferire gratuitamente alla destra un patrimonio di riformismo istituzionale costitutivo dell’identità stessa del Partito Democratico”.
La partita delle riforme
Cosa significa? Significa che nella partita delle riforme, su cui Meloni sta investendo e non poco, un pezzo del Pd si sente più vicina all’approccio governativo che all’opposizione dura e pura del Pd targato Schlein. Nella pratica, una parte dei dem potrebbe fare come il Terzo Polo, lasciando aperta la porta alle proposte dell’esecutivo di centrodestra. “Certo – conclude la velenosa lettera – Schlein può ignorare queste sollecitazioni della minoranza riformista e proseguire sulla sua strada, insistendo sulle riforme istituzionali come diversivo e sulla priorità della redistribuzione rispetto alla crescita”. Ma “sarà un peccato, perché per questa via il Pd potrà forse recuperare qualche punto percentuale (alle Europee si vota col proporzionale) a danno del M5S, ma non riuscirà a ridurre la distanza rispetto a Meloni sul terreno che conta davvero: la credibilità della proposta di governo”. Tira una brutta aria per Elly.