Il Parlamento è una cosa seria. Ma anche il luogo dove sorgono le idee più strampalate. L’ultima in ordine di tempo è targata Pd (non che siano gli unici, sia chiaro) e riguarda il proprietario dei Tesla. Due esponenti dem, infatti, al Senato hanno appena depositato due emendamenti che già tutti hanno battezzato anti-Musk.
L’occasione è la discussione al Senato del ddl Concorrenza. I due senatori Nicita e Basso hanno redatto due proposte di modifiche piuttosto particolari. La prima pone un divieto per i soggetti che esercitano il controllo di piattaforme online regolati dal Digital Service Act, come Musk nel caso di X, di offrire servizi di connettività all’ingrosso e al dettaglio, inclusa la connettività satellitare, sul territorio italiano. Tradotto dal politichese: mantenendo il controllo del social, Elon non potrebbe vendere i servizi di Starlink in Italia. Il secondo emendamento, sempre a firma Nicita e Basso, punta più o meno allo stesso obiettivo (il magnate diventato consigliere di Donald Trump): viene esclusa la tecnologia satellitare dai soggetti terzi che possono accedere alle risorse del Pnrr assegnate agli operatori della telecomunicazione.
Si tratta a tutti gli effetti di una ripicca contro un imprenditore che, prima di acquistare X, era considerato universalmente un genio visionario salvo poi diventare un pazzo reazionario una volta sposata la battaglia per la libertà di espressione a favore di Trump. Il Pd infatti non solo ha presentato il testo delle due proposte di modifica, ma ha pure diramato un comunicato per rivendicare che si tratta di emendamenti “contra personam”.
L’obiettivo neanche troppo nascosto è quello di evitare che Musk possa affittare la sua rete Starlink al governo italiano. Come noto infatti il dialogo sulla questione è andato avanti. Tra Giorgia Meloni ed Elon i rapporti sono ottimi, come dimostra la fotografia scattata a Parigi in occasione della riapertura di Notre Dame che vede il premier italiano a colloquio sia col magnate sudafricano che con Donald Trump.
Non è un mistero che l’esecutivo abbia avviato uno studio per capire se e in che modo utilizzare i servizi di internet veloce satellitare. Sono noti, a causa della stramba inchiesta che ha tirato in mezzo anche Andrea Stroppa, gli studi per la fornitura della rete alle sedi diplomatiche italiane. E poi il sottosegretario all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti, aveva spiegato chiaramente che l’esecutivo stava valutando l’uso di Starlink visti “i ritardi degli operatori tradizionali” nel cablare tutta Italia con la banda larga. Musk non ha bisogno di cavi: gli bastano i satelliti che già sono in orbita e quelli che possono essere mandati sullo spazio, di cui è in pratica uno dei pochi a possedere le capacità e i vettori per farlo. Lo stesso Matteo Salvini, a metà novembre, non aveva nascosto il desiderio di stringere accordi con le società del tycoon. “In Italia serve Musk perché serve la connessione di Starlink – aveva detto ad Agorà – altrimenti ci sono troppe città che non sono perfettamente connesse”.
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