La maggioranza si divide sul terzo mandato per i governatori delle regioni. O meglio, sarebbe più opportuno dire che la politica si divide sull’eventualità di un terzo mandato. Perché quella che viene descritta come una crisi interna al centrodestra è in realtà una spaccatura che accomuna tutte le forze del panorama politico nazionale. Per averne la riprova basterebbe mettere sotto la lente di ingrandimento il voto espresso dai centristi: Italia Viva ha sostenuto l’emendamento proposto dalla Lega votando favorevolmente pur essendo all’opposizione, e Azione ha preferito non partecipare al voto.
Non solo. Perché anche la posizione del Partito democratico suscita non poco interesse. I dem hanno votato contro l’emendamento leghista, è vero, ma senza il terzo mandato avrebbero comunque due belle gatte da pelare, che rispondono ai nomi di Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, due governatori molto stimati nelle loro rispettive regioni che, venendo meno l’eventualità del terzo mandato, non potrebbero più essere candidabili. In tal caso, per i due presidenti di regione andrebbe necessariamente trovata una collocazione degna della loro storia politica e del loro peso elettorale. E se Michele Emiliano potrebbe anche accontentarsi di un seggio a Bruxelles, le ambizioni di Vincenzo De Luca sono invece ben più importanti, probabilmente direttamente la segretaria nazionale dem, laddove l’attuale segretario del Pd non lo avesse ancora compreso.
Senza contare poi che in assenza di due candidati altrettanto forti a guidare le rispettive coalizioni alle prossime elezioni regionali, il centrosinistra rischierebbe seriamente di perdere anche Puglia e Campania, essendo il consenso ottenuto nelle due regioni riconducibile principalmente alle persone dei due governatori, più che ai partiti in sé. Insomma, le opposizioni esultano per la bocciatura dell’emendamento leghista in Commissione Affari costituzionali del Senato, ma a ben vedere c’è veramente poco di cui gioire. I centristi di Iv e Azione, vedendo di buon occhio l’ipotesi di un terzo mandato, sono di fatto risultati sconfitti, e il Pd si trova esattamente nella medesima posizione della Lega, con due governatori uscenti al secondo mandato da dover ricollocare, ma con molte più probabilità di perdere elettoralmente le regioni in questione rispetto alla coalizione di centrodestra.
Non a caso ieri sera i bonacciniani hanno fatto trapelare una indiscrezione che è tutta un programma. Energia Popolare, la corrente del governatore dem, fa notare il “forte disappunto per il voto espresso dal Pd in Senato”. Il partito infatti non avrebbe “rispettato l’accordo preso in direzione e non si è salvaguardata l’unità del partito. Quindi il Pd si è spaccato”. “Ora – si legge nella nota di fuoco – andrà gestito anche il malcontento di sindaci e presidenti”.
Chi può veramente esultare è invece Giorgia Meloni. Anche dopo il voto in Senato il suo esecutivo non rischia nulla, per stessa ammissione del segretario leghista Matteo Salvini. E per di più, alle prossime elezioni regionali la leader di FdI potrà passare all’incasso ed ottenere dagli alleati di governo la candidatura di un governatore espressione del suo partito in almeno in una delle regioni oggi guidate dalla Lega.
Salvatore Di Bartolo, 23 febbraio 2024
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