Vi ricordate quando, dalle colonne di questo sito, più volte abbiamo ripetuto come la sostenibilità ambientale non possa non essere accompagnata dalla sostenibilità economica? Ecco, nonostante le eco-follie di Bruxelles e la transizione energetica in atto nel nostro Paese vadano sempre più nella direzione opposta, ora però arrivano le prime vittime di questo orientamento ultra-green. E si tratta della Marelli, realtà dell’automotive con stabilimenti a Bologna e Crevalcore, legata alla produzione di motori endotermici.
Le ragioni della chiusura
Ebbene, la società ha deciso di chiudere proprio quest’ultimo stabilimento da 230 dipendenti, nonostante ora i sindacati abbiano promesso battaglia, con scioperi che potranno arrivare fino a 8 ore. La Direzione aziendale ha spiegato che le ragioni della chiusura sono duplici. Da un lato, vi è sicuramente i 6 milioni di euro di perdita, in particolare legati all’aumento del costo dell’energia; dall’altro, invece, vi è la dinamica negativa relativa al motore endotermico, che oggi porta a un utilizzo solo del 45% della capacità produttiva.
Il tutto, ovviamente, può essere riportato ad un motivazione fondamentale, ovvero la scelta della Marelli non prevedere alcun investimento per la transizione verso l’elettrico. Insomma, si tratta della prima vera vittima della politica only electric imposta dall’Unione Europea. Una prima perdita per un settore d’eccellenza italiana e che – sotto tutti i punti di vista – andrà ad avvantaggiare sempre più la concorrenza cinese, che da decenni ha direzionato tutte le proprie forze verso il mercato dell’auto elettrica.
A ciò, si aggiunge la mala gestione straniera, visto che Marelli è stata venduta nel 2018 da Fca (ora Stellantis) alla giapponese Calsonic Kansei. Quest’ultima è controllata a sua volta dal fondo americano Kkr, colpevole di aver scaricato sulla società i debiti contratti per acquisirla, portandone il fardello ad oltre 8 miliardi di euro. La produzione, comunque, verrà trasferita nello stabilimento di Bari.
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“Attività insostenibile”
Si legge nella nota: “Marelli ribadisce che l’Italia è strategica, in quanto lo considera “un centro di rilievo in ambito ingegneria e ricerca e sviluppo, così come un importante polo produttivo”. E ancora: “Marelli ha svolto un’approfondita analisi riguardo la possibilità di garantire la missione produttiva dello stabilimento di Crevalcore e la conclusione è che la continuazione dell’attività è insostenibile”.
Nel frattempo, sono già partiti all’attacco il presidente dell’Emilia-Romagna ed il sindaco di Bologna, rispettivamente Stefano Bonaccini e Matteo Lepore, contro la decisione di chiudere lo stabilimento, definendola come “assurda ed inaccettabile”. Curioso però il fatto che le critiche arrivino proprio dalla parte politica che più in assoluto sta capeggiando la transizione verso l’elettrico, la principale causa della chiusura della Marelli di Crevalcore.
Insomma, prima si tifa per l’automotive sostenibile e poi si levano gli scudi quando arrivano i primi risultati (inesorabilmente tragici) di questa politica. È il solito fanatismo green, che a questo punto pare aver contagiato non solo i vertici di Bruxelles, ma pure qualche leader politico italiano. Eppure, gli effetti erano già scritti.