La neolingua politicamente corretta si è “arricchita” di un altro termine all’altezza dei nostri tempi bui: il pedonicidio. A divulgare questa ennesima storpiatura, tanto lessicale quanto concettuale, è stato il Nobel per la fisica Giorgio Parisi. Quello stesso scienziato, è doveroso ricordarlo, che per anni, pur appartenendo ad una disciplina lontana da quella medica, si è unito al coro dei virologi star, pronosticando sciagure pandemiche a tambur battente.
Ospite di Propaganda live – programma in onda su La7 che raccoglie un vasto repertorio di sinistrissimi luoghi comuni -, Parisi si è soffermato sul controverso limite dei 30 km/h, peraltro già in vigore in grandi città come Milano e Bologna. Partendo dal presupposto che il traffico veicolare rappresenta un sistema complesso, lo studioso romano ha sottolineato l’esigenza di eseguire tutta una serie di esperimenti per verificare che detto limite “riduca il numero dei morti senza danneggiare troppo la circolazione.” Per inciso è esattamente lo stesso ragionamento che, proprio durante la pandemia, avrebbe dovuto applicare il nostro, considerando gli effetti sull’economia e sulla salute collettiva provocati dalle misure alla cinese che tanto gli garbavano.
Ma tornando all’oggetto dell’articolo, Parisi ha anche pensato all’eventualità di “mettere telecamere su tutte le strisce pedonali e multare quelli che non si fermano.” La qual cosa, al pari dell’idea folle, ai tempi del Covid, di installare un sistema di ventilazione in ogni edificio pubblico, necessiterebbe di un colossale impiego di risorse, sia per l’impianto delle stesse telecamere e sia per la loro gestione.
Dopodiché, immancabile nel pensiero di chi si sembra sentirsi investito di un ruolo guida per le sorti certe e progressive del genere umano, Parisi ci indica la strada da seguire: “La prima cosa da fare è cercare di diminuire i pedoni morti in Italia – ha sentenziato il fisico -. Quello che mi fa impressione è che in Italia ci sono 400 pedonicidi, li chiamo così, contro un centinaio di femminicidi; metà dei pedonicidi sono in realtà femminicidi perché i guidatori sono quasi sempre maschi che ammazzano e la metà delle vittime sono donne quindi ai 100 femminicidi si aggiungo 200 femminicidi di pedoni. È una situazione che dobbiamo assolutamente risolvere.”
Quindi, in pratica, Parisi si inventa questa ennesima classificazione di un evento tragico, in questo caso la morte dei pedoni sulle strade, con il probabile intento di renderlo più evidente all’attenzione dei più. Tuttavia, a prescindere dal beneficio reale che la sua “invenzione” possa apportare, ciò che egli sostiene successivamente dimostra che in Italia il vizietto di giocherellare coi numeri, con il chiaro obiettivo di creare allarme, prosegue anche dopo la pandemia di coronavirus. Tra l’altro, non si comprende la ratio di includere tra i cosiddetti femminicidi “solo” gli investimenti mortali di donne. Già che ci siamo aggiungiamoci tutti i decessi femminili che abbiano la caratteristiche di eventi imprevisti e imprevedibili.
Inoltre, sarebbe il caso di ricordare all’illustre scienziato che il discusso termine di femminicidio rappresenta una fattispecie di crimine abbastanza specifico. Tant’è che secondo l’Accademia della Crusca, il femminicidio consiste nel “provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima”. Pertanto, per usare una espressione dipietresca, non si capisce cosa ci azzecchi la morte di un pedone donna con il cosiddetto femminicidio.
Infine, sempre in tema di numeri ballerini, da circa una trentina di anni non di fa che parlare di strage sul lavoro, quando in realtà i decessi considerati tali sono più o meno fermi ad una cifra che oscilla intorno al migliaio ogni anno. Solo che, così come ha fatto il buon Parisi, circa due terzi di questi poveretti muoiono sulle strade, andando o tornando dal luogo di lavoro, camionisti inclusi. Perciò, ancora una volta chiudiamo con la seguente domanda: ma di cosa stiamo parlando?
Claudio Romiti, 14 febbraio 2024