Già dal titolo, parlando con rispetto, fa girare i coglioni: la bozza del Pnrr, che starebbe per Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, spalanca orizzonti di boria: è il documento “riservato” del governo per fare fronte alla catastrofe da esso stesso governo originata o almeno coltivata in quest’anno sprecato di emergenza pandemica. Subito si capisce l’andazzo, con l’introduzione del presidente del Consiglio, in puro stile Giuseppi: pagine di formule, frasi fatte, luoghi comuni, bugie. “All’inizio del 2020 – e forse già prima – il virus SARS-CoV2 ha iniziato a diffondersi in Cina e in altri Paesi. In Europa, l’Italia è stata colpita per prima e duramente”.
No: la versione corretta è che il virus Sars è stato inventato in Cina, spedito in Europa e in Italia l’abbiamo pagata subito cara perché quelli del governo Conte pigliavano per i fondelli quelli che si preoccupavano, andavano a battere i Navigli per aperitivi solidali, fagocitavano involtini, abbracciavano cinesi; così si è perso tempo inestimabile, mentre a Nembro, a Vò Euganeo, a Codogno esplodevano focolai e palazzo Chigi non sapeva che fare e niente faceva, salvo imporre un blocco totale e insensato. Il resto della disastrosa introduzione è il solito repertorio di un premier sull’orlo della crisi di nervi, che si imbroda, si imburra, scantona, auspica, prevede, ipotizza, tratteggia un paese “più verde”: sì, di bile.
Libro dei sogni e fuffa
La prima parte si apre con un titolo che è una excusatio non petita: “Obiettivi generali e coerenza del piano”. La coerenza sta nello sparare cannonate di fuffa, nel tipico stile puerile di un certo quotidiano appendice della Real Casa. La pomposa “strategia di rilancio”, poi, è il solito di tutto e di più, un libro dei sogni che spazia dalla fatidica rivoluzione verde all’irrinunciabile parità di genere, senza nascondersi, coraggiosamente, passaggi rivelatori sulla “debole capacità amministrativa del settore pubblico”, laddove il settore pubblico sarebbe quello magnificato un giorno sì e l’altro pure con l’opera degli Arcuri, dei Tridico all’Inps, delle task force ministeriali e via discorrendo.
In realtà, questo Piano di Rinascita firmato Conte somiglia molto ad una resa su tutti i fronti: nella misura in cui “affronta questa rigidità promuovendo un’ambiziosa agenda di riforme per la Pubblica Amministrazione, supportata dalla digitalizzazione dei processi e dei servizi, dal rafforzamento della capacità gestionale e dalla fornitura dell’assistenza tecnica necessaria alle amministrazioni centrali e locali, che sono fondamentali per promuovere un utilizzo rapido ed efficiente delle risorse pubbliche. Uno dei lasciti più preziosi del Pnrr sarà l’aumento permanente dell’efficienza e della capacità della Pubblica Amministrazione di decidere e mettere a punto progetti innovativi e di accompagnarli dai primi investimenti fino alla realizzazione finale”, la bozza palesa tutta la drammatica impotenza di un governo che, ormai è nell’aria, durerà meno della eventuale traduzione in legge di questi capitoli d’aria bollita.
Cialtronismo
E giù con l’incremento della occupazione giovanile, della “UE generation”, sempre questo pidgin english patetico, delle quote rosa, rosa, rosa, di una “riforma dell’Irpef” non più rinviabile: par di sentire i comizi in bianco e nero della prima repubblica, ma più cialtroni, più formato reality. “In preparazione al Pnrr, il Governo ha attuato un’ampia consultazione con gli stakeholder. Nella primavera del 2020 ha incaricato un Comitato di esperti, coordinati da Vittorio Colao, di elaborare delle proposte per il Piano di Rilancio del Paese. Nei mesi successivi, anche alla luce delle raccomandazioni del Comitato Colao, il Governo ha ascoltato le opinioni e i suggerimenti delle imprese italiane, delle organizzazioni sindacali e della società civile”. È un passaggio esemplare per velleitarismo, ambizioni di panna montata, franche menzogne: gli esperti di Colao hanno prodotto una serie di disegnini subito finiti nel cestino senza passare dal via, Conte, che Colao non lo sopporta, lo ha sterilizzato e poi espulso in spregio al volere di Mattarella (che ora potrebbe ricordarsene rimpiazzandolo con un’altra sua protetta, la presidenta della Corte Costituzionale Marta Cartabia).
Europa, solo Europa
Voilà, la pomposa bozza del Piano di Resilienza è tutta così; ed è tutta in ossequio all’Europa, i dati dell’Europa, le indicazioni dell’Europa, il volere dell’Europa (è l’Europa che ce lo chiede), in modo perfino patologico, una riga sì e l’altra pure: nessun fremito di indipendenza, di autonomia, di responsabilità nazionale. E L’Europa mette (metterebbe, molto meglio) a disposizione della Next Generation Ue un tesoro di 309 miliardi nei prossimi 8 anni; per farci che? Mistero. Come pure mistero circa gli ipotizzati 193 che dovrebbero arrivare per il Dispositivo Europeo di Resilienza e Resistenza, dal 2021 fino al 2026, la maggior parte di prestiti da restituire, e che “il governo intende utilizzare appieno”. Mecojoni, commenterebbe quello.
Danno i numeri
Di qui in avanti, un’orgia di grafici, specchietti, tabelle, proporzioni, che rendono i propositi governativi chiari come nebbia; ma niente paura, gli obiettivi sono chiarissimi, purissimi, definitissimi: modernizzazione del Paese, Transizione ecologica, Inclusione sociale e territoriale, Parità di genere. Manca la pace nel mondo, ma in una prossima bozza ci arriveremo. Prendiamone uno a caso, il primo: modernizzare il Paese come? Facile: “dovrà essere la base del nuovo modello economico e sociale di sviluppo su scala globale (…) Si dovrà inoltre investire nella ‘bellezza’ del Paese (…) permettendo di conseguire una maggiore armonia con la natura”. Quanto all’inclusione sociale, attenzione: “vuol dire ridurre le disuguaglianze e la povertà, migliorare l’istruzione e la conoscenza degli strumenti digitali, ridurre i divari territoriali nell’accesso alla cultura, ottenere una migliore qualità della vita nei centri urbani e nelle periferie, ridurre il gap infrastrutturale, occupazionale e di servizi e beni pubblici fra Nord e Sud”. Forse Branko e Paolo Fox avrebbero potuto essere più incisivi, ma contentiamoci.
Ecco, il Piano di Rinascita, pardon di Resilienza, è tutto così. Altri grafici, slide, disegnini colorati, si direbbe una mania, proprio, dell’infantilismo al potere; peccato solo che, circa la Salute, che poi sarebbe la Sanità ma non formalizziamoci, risultino previsti la miseria di 9 miliardi, pari al 4,6% – e siamo in piena emergenza pandemica, a sentir loro; laddove tutto il resto viene finanziato per multipli: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura 48.7 miliardi (24,9%), Rivoluzione verde, transizione ecologica 74,3 miliardi (37,9%, è l’ambito dove la mangiatoia si fa storicamente sconfinata), Infrastrutture per una mobilità sostenibile (che è un pleonasmo, le infrastrutture servono a muoversi, bestie che altro non siete) 27.7 miliardi (14,1%), Istruzione e Ricerca 19,2 miliardi ((9,8 %), Parità di genere, coesione sociale e territoriale 17.1 miliardi (8,7% – è il settore più fuffario di tutti). Su quali basi, per quali motivate precedenze, non si è capito. Tanto più che la miserrima elemosina per la Salute non pare tener conto di assunzioni, medici da inserire, ospedali nuovi eccetera.
Parole, parole, parole
È difficile non si dica demolirlo, ma anche solo commentarlo, uno scartafaccio così – 126 in formato PDF; è improbo, quando trovi capitoli intitolati “Le riforme e gli investimenti per una transizione ‘green, smart e healthy’”. Viene da piangere, la testa fra le mani, chino sulla tastiera. Più interessante, d’altronde, il passaggio sulla Giustizia – qui non si butta via niente, gli è tutto da rifare, tutto da rendere healthy e smart: ora, si ammette, tra circonlocuzioni e filastrocche, che la Giustizia è “un gran casino”, come dicev er Pomata in Febbre da Cavallo. Ma come, sotto le cure del Guardasigilli dj Fofò, non era la migliore delle Giustizie possibili? Forse per i clandestini e i boss scarcerati, ma bando alle polemiche: insomma, si propone di estendere il patteggiamento a pene fino a 8 anni (sulle attuali 5), come a dire: tanto qui vien giù tutto, aboliamo pure i processi, il sistema penale e ciascuno si voti al santo suo. Dove non arriva il patteggiamento omnibus, soccorrerranno i riti alternativi: abbreviato, immediato, don Mazzi. Non manca una nota di entusiasmo ebraico-newyorkese, alla Woody Allen, con lo specchietto in cui si ipotizza la riduzione “stimata” della durata media dei procedimenti: dal 30 al 40%, dal 42 al 52%…
Tutto il resto è un giro in giostra, è Disneyland, su vagoncini di formule quali “Queste tre linee di azione saranno accompagnate da una serie di riforme che daranno una forte spinta alla semplificazione ed all’efficienza nel rapporto tra cittadini ed amministrazione pubblica, rimuovendo ostacoli che danneggiano sia la vita del cittadino nella fruizione di servizi fondamentali sia gli investimenti, soprattutto per quanto riguarda progetti infrastrutturali”. Talmente vago che va su tutto, e difatti il Piano di tutto si occupa per non risolver niente, tra una “agricoltura digitale” e una “gigabit society”. Ma quello che sconcerta, è il candore con cui vengono riassunti i disastri: “durante la fase di lockdown primaverile, i musei e il patrimonio artistico hanno registrato una perdita stimata in circa 80 milioni di euro, il cinema ha registrato una perdita al box office nell’ordine dei 120 milioni di euro e la musica – in particolare la componente legata all’attività live – ha subito una contrazione di ricavi stimata in circa 350 milioni di euro” sbaglieremo, ma ci sembra di sentire un certo orgoglio per tanto sfacelo combinato.