Ieri ho scritto un ovvio Cameo politico perché non ne potevo più, oggi torno umano, racconto come ho vissuto il più brutto Natale della mia vita. Che Natale è se non posso neppure, non dico pranzare, ma vedere, a distanza, i miei nipoti, le mie nuore, i miei figli? Non consegnare di persona i doni. Mai affiderò i miei sentimenti ad Amazon, mai fingerò di pranzare con loro a distanza sotto l’occhio di skype: l’ultima buffonata che mi hanno proposto i radical chic digitali.
Per 10 mesi abbiamo fatto sacrifici di ogni tipo, seguendo le loro direttive e ci ritroviamo a Natale i peggiori del mondo. Una vergogna, però questi inetti sono ancora lì, e blaterano, blaterano. Da tre mesi sono in lockdown volontario, non ho scritto la solita lettera natalizia a Gesù Bambino, ma un Cameo, questo. Contiene le riflessioni di una giornata intera trascorsa ad analizzare la Lettera di Natale di Padre Davide Maria Turoldo (La Locusta 1992). Qua la ripercorro, usando parole sue e mie, anche se le mie valgono nulla al suo confronto.
La prima riga della lettera ci accomuna, “… c’è un cancro bello bello, seduto al centro del ventre, come un re sul trono”. Il problema non è il cancro, ma quanta vita ci lascerà la Provvidenza (a lui, pochi mesi). Si ci cura scrivendo. Questo Natale 2020, in Italia è la profanazione di ciò che significa il Natale. Guardiamo le nostre città, i nostri borghi, di cui andavamo fieri: appaiono nudi, senza cielo, senza stelle. Ci accorgiamo di vivere in un mondo senza infanzia, di avere giovani invecchiati precocemente. Osserviamo i curricula di ciascuno di noi, sono invecchiati, sono irriconoscibili. Siamo come storditi dalla vita che costoro ci impongono e che supinamente accettiamo.
Anche Gesù Bambino lo senti lontano. Con Padre Turoldo lo invoco: “Gesù vieni da noi, ma vieni di notte, sii furtivo, sii prudente. Questi sono capaci di tutto, anche di geolocalizzarci mentre preghiamo”. Non andiamo a scuola, non lavoriamo, non sappiamo più cosa dirci. Che vita è? Così vogliono che si passi il Natale, soli e tristi, incollati a ignobili schermi. “Si chiude!”, e noi tutti giù per terra, barricati in casa. “Si apre!”, e noi tutti fuori a comprare banalità cinesi (costano poco, valgono nulla). “Si richiude!”, perché ci siamo comportati male. “C’è una nuova variante del virus!”, già la testa! I virologi di regime, dalle facce feroci da kapò, ci bacchettano in continuazione. E noi? Zitti.
Non posso accettare questo andazzo. Secondo il protocollo delle élite dovrei avvolgermi nel mio plaid di cashmere, e starmene tranquillo, sul divano De Sede, sorbirmi un Gin Martini, e dire “Buon Covid” agli inglesi che hanno votato Brexit.
Che fare? Padre Turoldo me l’ha insegnato: essere instancabili disturbatori di coscienze. Trasformare il lockdown volontario in sciopero. Il “lavoratore” ormai è una figura patetica, se sciopera danneggia solo se stesso. Capipopolo, sindacati, cortei, megafoni, violenza nelle strade, rappresentano un mondo finito. Abbiamo poche carte da giocarci, la cultura della scarsità, la forza d’animo, il silenzio. L’eroe della rivolta deve diventare il “consumatore”. Con il lockdown volontario si mette in sciopero in casa sua, si barrica, spegne la tv, nulla ordina via Amazon, compra il minimo per sopravvivere.
Si inventa la sua gandhiana marcia del sale per difendere la sua libertà. Auguri!
Riccardo Ruggeri, 26 dicembre 2020