Il populismo di Francesca Ghio: la violenza non giustifica la maleducazione

La consigliera di Genova denuncia le violenze subite a 12, la Meloni la chiama per esprimerle solidarietà ma a lei non sta bene

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Ghio-Meloni

Fin dall’invenzione della politica i filosofi, e poi gli scienziati della stessa, hanno inteso, forse senza neppure accorgersene, distinguerla dalla società, tracciando, di fatto, un paradosso: la attività regolatrice della società distaccata, necessariamente, dalla società. La questione del potere non risparmia nessun pensatore, è una aporia, una contraddizione senza soluzione; quando si pretende di far coincidere due variabili inconciliabili, potere e società, regolatori e regolati, si cade inevitabilmente nella demagogia e nel populismo che sono lame a doppio taglio, sono armi insidiose e a lungo andare, ma più spesso a breve, controproducenti. Una consigliera ligure di AVS, costola piddina che carica i Soumahoro e le Salis, Francesca Ghio, rivela di aver subito violenza a 12 anni, le arriva, com’è fatale, il suo momento di gloria mediatica; la premier, che è donna, senza asterischi, la chiama, in privato, per esprimerle solidarietà e si ritrova legata alla colonna infame, la consigliera subito ne approfitta per farlo sapere e, allo stesso tempo, attaccare Meloni da donna a donna. Quasi fosse stata questa a favorire lo stupro a suo tempo, un tempo che senza dubbio lascia strascichi di perennità, ma non più prossimo, non più così immediato. C’è chi sospetta, c’è chi dice: ma quale grido di dolore, era un calcolo preciso, la solita caccia alla candidatura di peso, non più semplice consigliera comunale ma parlamentare o europarlamentare nel club delle Ilarie, Cucchi, Salis, per dire candidate senza specifici meriti o addirittura a dispetto dei propri precedenti.

Fin che si resta nel cielo dei sospetti, delle ipotesi più o meno fondate, più o meno velenose tutto è lecito, dalla totale buona fede alla completa malizia; ma se vivi di politica, se la frequenti fin da ragazzina, se oggi sei la prima carica amministrativa del Paese, come fai a non sapere come vanno le cose? Sullo slancio spontaneo di Meloni possiamo anche concordare, ma basta a non porsi il problema delle conseguenze? Insomma, come puoi non immaginare che ti si ritorcerà contro, che chi riceva la tua vicinanza ti detesta, ti usa?

Vanno di moda, ultimamente, i comunicati a botte di schermate su Instagram: lo sbotto di questa Francesca Ghio, finalmente uscita dal limbo dell’anonimato, “ispirata da Giulia Cecchettin”, ricorda quello del se credente intellettuale Zerocalcare, e già la pretesa di farsi seguire a prezzo di farci lasciare gli occhi a chi ti segue, una “storia” dopo l’altra, una schermata dopo l’altra, la dice lunga quanto a presunzione da influencer. In questo caso c’è una misura di spregiudicatezza o arroganza in più, davvero discutibile: il grido di dolore, sfrondato della retorica, è niente di più e niente di meno che un comizietto politico in pillole nel segno del populismo peggiore, quello di sinistra ed estrema sinistra, quello inzuppato nel woke più assurdo o strumentale; tanto strazio personale per attaccare, da donna a donna, una che non si intende legittimare, che si punta a sminuire se non infamare, una della cui buona fede, della cui compassione si abusa, salvo concludere per la solita aspettativa esorcistica, lunare o pretestuosa: voglio (espresso nel plurale majestatis dei megalomani) l’educazione sessuo affettiva per tutti i bambini in tutte le scuole.

Il Leviatano procedeva da trascendenza ad immanenza, i presuntuosi vanno nel senso opposto. Se una ha subito violenza da bambina, si sente in diritto dovere di imporre il pregiudizio più scorretto – “Mi chiamo Francesca e se sono morta a 12 anni (sic) la colpa è anche di quelle come te”, la soluzione più lunare, la rivendicazione più militante, del tutto priva di fondamenti, di riscontri. Il populismo non è solo del potere, è una ideologia nell’ideologia, è anche rivendicazione, di un potere. La educazione psico sessuale infantile, qualsiasi cosa voglia dire (e non è mai una cosa buona, declinandosi nel pedestre reclutamento di fenomeni da baraccone gay pride per convincere anime fragili che bisogna essere come loro), è uno dei fondamenti dell’intolleranza del follemente corretto, come lo chiama Luca Ricolfi. È molto, troppo attiva nei focolai di potere americano e, per proiezione, britannico e via via sempre più europeo, e una non più sconosciuta consigliera comunale italiana, genovese si pone nel ruolo di tramite, di importatrice di democrazia a cappella o a capocchia.

In America, lo raccontano i Ricolfi, i Rampini, questa ossessione di stampo totalitario ha cominciato, fatalmente, a generare reazioni per rigetto, per saturazione, per la semplice etica della logica o se si preferisce il contrario, la logica dell’etica; comunque non si regge, non si respira, non è umanamente, mentalmente, culturalmente tollerabile, è uno dei molteplici cortocircuiti in cui le articolazioni del woke sono destinate a strozzarsi come diverticoli moralistici. In Italia… beh, in Italia la luce della stella, ancorché morta, arriva a debito ritardo, siamo sempre inchiodati all’emulazione sperimentale, sulla pelle della popolazione che il potere attivo o quello di opposizione considerano plebe.

Ma proprio Ricolfi nel suo ultimo saggio, intitolato per l’appunto Il follemente corretto, mette le cose in chiaro: “Emblematico, in proposito, il caso dell’amministratore delegato della Disney Bob Chapek, indotto a prendere solennemente ed enfaticamente posizione contro la legge ‘Don’t say gay’, varata dal governatore della Florida Ron DeSantis: la legge, che prevedeva che l’educazione sessuale entrasse nelle scuole solo dopo l’ottavo anno di istruzione, non aveva nulla a che fare con l’attività della Disney, ma prendere posizione contro di essa, e persino scusarsi per non averlo fatto tempestivamente, parve indispensabile a Bob Chapek per continuare a godere di adeguata reputazione nell’establishment statunitense, da lungo tempo egemonizzato dai progressisti”.

E poco importa che Disney stia tuttora rischiando, per rigetto, una fragorosa quanto politicamente corretta bancarotta, da scongiurare con una repentina e sconcertante inversione di tendenza nel suo universo spettacolare. Forse sarà il caso di scegliere meglio, pur con tutta la comprensione del cuore, i bersagli della propria solidarietà.

Max Del Papa, 29 novembre 2024

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