Società

Il Porro d’Oro 2023 è…

Come il “person of the year” del Time, ecco il “Porro d’Oro 2023”: il prestigioso premio del nostro giornale

Quest’anno il Porro d’Oro, che è il nostro Tapiro di Striscia, è un casino, un casino: non c’è l’imbarazzo della scelta, c’è la scelta dell’imbarazzo; seppelliti da esempi di un tempo devastato e vile, ci lambicchiamo nella scelta del più degno, senza venirne a capo. Fatto è che siamo talmente assuefatti, le difese sociali immunitarie a zero, da assorbire come normali situazioni e personaggi che appena ieri avremmo coperto di pece e di piume, consegnandoli alla damnatio memoriae. Invece, adesso, qualche velenoso commentino su X, qualche riso amaro, e passa la paura e anche la costernazione; tanto più che c’è sempre un nuovo, fosco eroe a rubarci l’attenzione. Da dove cominciare, chi scremare, chi portare alle eliminatorie fino al girone (infernale) finale? Dopo infinite esclusioni, ripescaggi, nomination, ci siamo regolati come segue.

  • Antonio Panzeri, già sindacalista cigiellino, già europarlamentare, alfiere della corruzione nella sinistra mediterranea, a mezzo di immancabile ONG, millantava attività di tutela e sostegno dei diritti umani e imbarcava carriolate di mazzette dai Paesi arabi che travolgevano i diritti umani. E bravo il panzerone ripieno.
  • Patrick Zaki, misterioso oriundo egiziano di stanza a Bologna, dove riesce a laurearsi su TikTok in scienze gender (e si capisce) pur non spiccicando una parola d’italiano: abbiamo dovuto comperarlo noi, non si è capito perché, e lui appena libero tira merda in faccia a Giorgia Meloni, che l’ha riscattato, si dichiara pacifista pro Hamas e annuncia la candidatura col un certo partito. E brav* il faraon*.
  • Aboubakar Soumahoro, il sindacalista dei miei stivali che godendo della “costruzione di un leader”, copyright Zoro, ciambellano di un certo partito, si spara la sua marcia su Roma fino in Parlamento sfruttando le trombonate fangose in favore dei poveri neri: che nessuno sfruttava più della moglie, detta lady Gucci, e della suocera Mama Africa. “Mi ditcie cocia vi o fatcio?”. No, dicci tu che cazzo hai combinato d’altro. E bravo il nostro sparafucile diversamente, anzi coerentemente sindacalista. Grazie comunque all’irresistibile coppia comica Bonelli-Fratojanni, che ce l’ha inflitto, questo arnese, prima di disssociarsene nel più paraculo dei modi, tipo lui chi è, come mai l’hai candidato con te. E bravi i nostri ecologisti comunisti per la finanza globale.
  • Luca Casarini, una vita in svaccanza tra slanci sovversivi, gestione di bettole dal nome evocativo (“Allo sbirro morto”), da incendiario a pompiere, da antagonista a partita Iva, da noglobal a sìsìsìglobal (la sua banda non suonava il rock ma corteggiava perfino Soros), un rosario infinito di poste fallimentari, finché svolta come commod’oro: riesce a intrufolarsi nel clero stellato a 5 punte di Bergoglio, che gli sgancia milioni di euro per salvataggi fantasma in mare: la verità è che, anche nel suo caso, i migranti servono da pretesto, *iu can, ho sistemà tuti i miei casini senza dover andare a lavorare in un bar. Zuppo di soldi tramite Zuppi, cardinal di Sant’Egidio, ma anche immerso nelle peste giudiziarie, manda avvertimenti: “Se mi condannano, avrò qualcosa da dire”. Subito Bergoglio, tendenza castrista e udito finissimo per l’antifona, lo convoca e, sotto gli occhi del mondo, gli dice: vai avanti (e tieni chiuso il boccaporto, s’intende). E bravo il nostr-omo a San Pietro.
    Jorge Bergoglio: non basterebbe una enciclopedia, comunque vedi alla voce Casarini.
  • Sergio Mattarella, ma si può dare il Porro d’Oro a un presidente? Limitiamoci a considerare che questo preteso garante delle libertà civili, nel corso dell’ormai decennale mandato, si è posto sempre più come simbolo e funzione connettiva dei potentati burocratico, finanziario, mediatico e ludico-intellettuale, in una parola: del ceto sovrano a tutto discapito della cittadinanza. Da tutore del regime condiviso, mostra di voler mantenere le prerogative parlamentari arginando quel teorico accentramento presidenziale che nei fatti incarna senza remore.
  • Il Loggionista, insospettato tipo umano che scrive tipo su Cavalli & Segugi e corre all’opera a latrare “viva l’Italia antifà”: cacciatore di gloria, e magari di candidatura, è la versione scaligera di Cavallo Pazzo all’Ariston. E bravo il nostro Pagliaccio da Leonkavallo.
  • Papà Gino Cecchettin, fulmineo Savonarola, purissima intelligenza artificiale applicata al più trito e ritrito qualunquismo woke, eletto nuovo pontefice della sinistra dopo fumata rossa da Fazio. Uno che, riferendosi alla tragedia che ha colpito la sua disinvolta famiglia, attirata dai media più che le falene dalla luce, viene a dirci di stare attenti con le parole, di non pronunciare pronomi come “mia, nostra”. Poi escono certi tweet oltre il sessismo violento, sui quali glissa, non smentisce, non conferma. Ammazzano un’altra giovane, e lui non parla più, forse perché l’assassino era un kosovaro criminale. E brava la nostra coscienza a singhiozzo.
  • Elena Cecchettin, sacerdotessa neofemminista figlia di Papa Gino, eletta “donna dell’anno” dall’Espresso che però ai selfie coi crocifissi capovolti chissà perché ha preferito una taroccata rembrandesca che la rende irriconoscibile. Donna dell’anno perché? Perché la saccente ma scaltra ragazzina, mentre tutti ancora piangevano lo strazio della sorella, non perdeva tempo con le lacrime e partiva con i proclami: l’avete uccisa tutti, tutti i maschi sono killer, la strage è di Stato, Salvini boia. Il tutto all’insegna della nonviolenza e della lotta contro il patriarcato oppressivo. Subito la Schlein se l’è incorporata insieme al padre. E brava la nostra Giovanna d’Arco costituzionale.
  • Chiara Ferragni, dulcis in fundo: la bocconiana che vedeva la Bocconi passarle davanti in tram, e non v’è certezza manco per il “manager” in disgrazia (incorreggibile Chiara, tutto ciò che la riguarda è tarocco), si spendeva in campagne sociali boomerang: tornavano sempre indietro. Lei ci metteva la faccia, le aziende, anzi “i brand” ci mettevano un milione, i fidelizzati ci mettevano il borsellino, pagando tre volte un pandoro, e i piccoli oncologici o autistici ci mettevano la sofferenza. Roba in divenire, che minaccia di tracimare, ma, fatta sempre salvo un garantistico beneficio d’inventario quanto già sgorgato sarebbe sufficiente a provocare conati per l’eternità. Invece la gente fa incetta della sua vestaglia oncologica, usata per impietosire i gonzi, e sui giornali ci sono “consulenti alle strategie”, cioè bari, imbonitori, tavolinari delle tre carte, che si disperano: ottima l’idea del video, ma non così, è tutto sbagliato, la gente non ci casca. Ha detto una che se ne intende, Wanna Marchi: “Chiara Ferragni? Una dilettante, una usurpatrice la vera influencer, la vera truffatrice sono io”. Lei, che non aveva follower da incantare ma, in modo più ruspante, “coglioni da inculare”. E brava la nostra bocconiana per boccaloni.

Ecco qua. Usciti da questa passeggiata dantesca, ripreso in salita l’ascensore per l’inferno, siamo più in ambasce di prima: voi, lettori, a chi dareste il Porro d’Oro? Io, alla fine, me la cavo come segue: gli esempi fin qui tratteggiati viaggiano lungo alcune direttrici comuni, fili rossi che li uniscono e li legano: sono di un moralismo insopportabile, sono di una ipocrisia disumana, sono tutti riferiti ad un certo partito. E allora, il Porro d’Oro lo diamo al Pd. Un partito che pretende la vaccinazione coattiva, le migrazioni incontrollate, l’impunità per i clandestini, il controllo sovranazionale su opinioni e informazioni, la sudditanza ad una UE al di sotto di ogni sospetto. Un partito che non esiste più, ma fa più schifo che mai.

Max Del Papa, 30 dicembre 2023

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