Cosa vuoi che sia? Da una parte Laura Boldrini invoca la Treccani per dire che “i ruoli vanno declinati”, quindi si dice “la premier” e non “il premier”. Dalla stessa parte c’è Michela Murgia, secondo cui addirittura sarebbe questione di grammatica. Sempre in trincea c’è pure l’Usigrai, convinta che un qualche (inutile) manifesto per i giornalisti prescrive di “declinare al femminile i nomi” in ossequio al “linguaggio di genere”. E poi dall’altra c’è l’Accademia della Crusca che chiude ogni polemica in favore di Giorgia Meloni: nel farsi chiamare “il presidente” infatti “non c’è nulla di strano”. Tutto legittimo.
In una intervista all’Adnkronos, Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca spiega che “i titoli al femminile sono legittimi sempre” e “chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato”, ma “chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo”. Fine della storia. Nessun maschilismo. Nessuna volontà di affermare “un modello di potere che è quello maschilista ‘al maschile'”. E neppure nessuna violazione della grammatica, cara Murgia. “Quella di Giorgia Meloni direi che è persino una decisione prevedibile – spiega Marazzini – Del resto non è cosa inaudita. Basti pensare, tra i tanti casi noti, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati nella precedente legislatura. La preferenza della Casellati era ben nota a tutti. Questo vale per le cariche pubbliche e politiche. Ma forse non ricordiamo la questione del ‘direttore d’orchestra’, sollevata dalla Venezi? Alcune donne non si riconoscono nelle scelte linguistiche della tradizione femminista di marca anglosassone, introdotta in Italia nel 1986 da Alma Sabatini, e ribadiscono la propria diversità attraverso scelte alternative di immediata evidenza”.
Semplice e chiaro. Ribadiamo: ognuno per noi può far ciò che vuole. Meloni sembra voler rimarcare una distanza da un certo mondo femminista. Sarebbe comunque più giusto lasciare ad ognuno la libertà di fare ciò che si vuole: Meloni scriverà “il presidente” nelle sue note, i giornali lo trasformeranno in “la presidente” (salvo, si spera, in caso di virgolettati della stessa Meloni). Sai che disgrazia. “Semmai – fa però notare la Crusca – in passato si è ecceduto, mettendo in circolazione manuali che sembravano imporre una scelta obbligata e comune per certe istituzioni o per certi ministeri. Una sanzione linguistica per chi non rispetta le indicazioni sull’uso del genere grammaticale non è immaginabile”. Le femministe di ogni ordine e grado se ne facciano una ragione.