Monta da giorni una polemica che più di retroguardia non si può sul curriculum scolastico di Nicola Zingaretti, annunciatissimo vincitore delle primarie Pd. “Ha la terza media e si vergogna”, butta là Mario Adinolfi. Si diffonde “il giallo del titolo di studio”, una delle espressioni precotte che il Giornalista Collettivo adora. Si appassionano particolarmente i giovanotti di Open, il giornale diretto da Enrico Mentana, sostenendo che la soluzione porta all’istituto tecnico De Amicis di Roma, dove il nostro (si fa per dire) avrebbe studiato. Si aggiunge al dibattito l’ex Iena Enrico Lucci, che testimonia di avere incrociato Zingaretti a La Sapienza, facoltà di Lettere, dove avrebbe dato solo tre esami.
Ci spiace raffreddare la temperatura di cotanto caso, ma a noi vien da dire: chissenefrega. Non è il titolo di studio, il punto dirimente per un leader politico. In caso contrario, Mario Monti sarebbe ricordato come un padre della patria, e non come un affossatore della medesima. Non è il titolo di studio, il problema di Nicola Zingaretti ai nostri occhi. Il problema sono le sue idee, e lo rimarrebbero anche se avesse un dottorato in Fisica Quantistica. Il problema è che con il Pd a trazione Zingaretti torna la vecchia sinistra. È lui stesso a dichiararlo: il suo “è un modello che rilancia lo spirito dell’Ulivo. La sua ambizione, la voglia di stare insieme e di vincere insieme”. Tradotto: l’accozzaglia. Il caro, vecchio, litigioso, inconcludente cartello delle sinistre contro l’Orco reazionario, allora il Cavaliere oscuro, oggi il becero Salvini. Non a caso per celebrare la sua vittoria si è scongelato perfino dal proprio freezer personal-politico Romano Prodi, e in fila ai seggi per votarlo si è rivisto l’eterno caravanserraglio artistoide della gauche: Benigni, la Ferilli, Guccini. I cavalli di battaglia? I soliti. “Per il Pd ormai è diventato un tabù tassare i ricchi? Io credo nella progressività delle imposte, come previsto dalla Costituzione”: un modo per annunciare senza nominarla quella patrimoniale che non a caso suscita gli entusiasmi attempati di Pierluigi Bersani e della truppa di Leu, prossima rientrante nel Pd zingarettiano. C’è, ovviamente, da “costruire un nuovo welfare”, quindi da creare nuovi apparati pagati con le tasse di chi lavora. E c’è, ossessione zingarettiana, la necessità di “recuperare la parola uguaglianza”. Da secoli, la nemica da sinistra della libertà.
Giovanni Sallusti