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Il problema non è il Manifesto di Ventotene, ma chi lo considera il Vangelo

Polemiche furiose sulle parole di Giorgia Meloni, che non ha fatto altro che sbattere in faccia la realtà ai compagni

Serra Augias Schlein Ventotene
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“Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”: queste le parole della discorsi. Ieri, alla Camera, Giorgia Meloni ha stroncato senza mezzi termini il Manifesto di Ventotene, che molti a sinistra non hanno letto eppure continua a rimanere intoccabile, un documento che proponeva un modello sovietico di società, intriso di socialismo reale e rivoluzionario. Il premier ha concluso il suo intervento con una serie di citazioni dal testo redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, che furono confinati sull’isola di Ventotene dal regime fascista, senza aggiungere altro.

In pochi minuti l’Aula è diventata un campo di battaglia, con la maggioranza che plaudiva e le opposizioni che protestavano, costringendo a sospendere la seduta. Le polemiche sono proseguite anche dopo la ripresa dei lavori, mentre Meloni era già diretta a Bruxelles dopo un pranzo al Quirinale, dove non si è parlato dell’incidente. “Giudicate voi”, ha scritto la presidente del Consiglio sui social prima di lasciare Roma, pubblicando il video del suo intervento, in cui accusava chi ha richiamato il Manifesto di Ventotene di “non averlo mai letto”. Ha citato alcune frasi del testo come: “La rivoluzione europea dovrà essere socialista”; “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”; “In epoche rivoluzionarie, quando le istituzioni non vanno amministrate ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente”. Parole che, secondo i suoi sostenitori, avrebbero fatto “cadere il Muro di Berlino anche in Italia”.

Antonio Tajani ha ribadito il suo “grande rispetto per tutti” e ha sottolineato che la sua Europa è quella di De Gasperi, Adenauer e Schuman, aggiungendo che “Meloni non ha offeso Spinelli, la polemica è fuori luogo”. In passato, la Lega di Umberto Bossi si era ispirata al federalismo europeo di Spinelli, ma secondo Riccardo Molinari, “questo modello è stato tradito da questa Europa”.

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Parliamoci chiaro, la Meloni ha ragione. “Non l’ho distorto, l’ho letto. L’ho letto testualmente. Ma non per quello che il testo diceva 80 anni fa, ma per il fatto che è stato distribuito sabato scorso. Quindi, un testo che 80 anni fa aveva una sua contestualità, se lo distribuisci oggi io devo leggerlo e chiederti se è quello in cui credi. Punto” la sottolineatura della leader del governo a fine giornata. Il testo non è più attuale, fa comprensibilmente orrore a un liberale e a tratti pare estremista. Ma il problema non è il Manifesto di Ventotene, qui nessuno ha mancato di rispetto a Spinelli e ai suoi colleghi. Il problema è questa sinistra che non sa che pesci prendere e si attacca alle ultime bandierine rimaste. Bandierine che nemmeno conosce: tre compagni su quattro non hanno nemmeno letto di cosa si tratta. Eppure è diventato il Vangelo, innominabile e intoccabile. E pazienza se contiene idee illiberali con il sì alla rivoluzione e il no alla democrazia, oppure il superamento del concetto di proprietà privata.

Nelle ultime ore abbiamo letto castronerie di ogni tipo. La prima fesseria è legata all’idea che il Manifesto di Ventotene sia uno dei testi fondativi del processo di integrazione europea. Siamo netti: è una boiata. I padri fondatori dell’Unione europea non erano a conoscenza delle idee contenute nel documento. E soprattutto le radici filosofiche erano ben altre. Stesso discorso per chi ritiene che sia alla base della Costituzione repubblicana.

Senza dubbio Spinelli e Rossi vanno inseriti nel contesto in cui scrissero quel documento. Il confino a Ventotene. Il regime fascista. Quello nazista in Germania. Tuttavia furono loro stessi, Spinelli in particolare, a correggere alcuni degli svarioni contenuti nel testo. La rivoluzione delle élite, la dittatura, l’eliminazione della proprietà privata non erano accettabili più nel 1950, figuratevi oggi. Ha ragione da vendere il Corsera quando scrive che il Manifesto aveva “indubbi limiti di astrattezza rispetto agli sviluppi storici successivi“, soprattutto per quanto riguarda la teoria della fine degli Stati Nazionali. Ed è vero che va “situato nel contesto in cui venne redatto”, riconoscendone “ingenuità e forzature”. Ed è proprio questo il punto. Chi sabato scorso è sfilato nella piazza di Serra questa rilettura critica del Manifesto non l’ha fatta. L’ha distribuito come l’Eucarestia, manco fosse un testo sacro, prendendolo nella sua interezza e non estraendo solo le parti ancora oggi accettabili.

Perché qualcuno dovrebbe dire che, di certo, il documento di Spinelli & Co. non può diventare la bandiera di un governo liberale, patriottico e anticomunista.

Franco Lodige, 20 marzo 2025

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