Questa zuppa è rivolta al nuovo direttore della Repubblica, Carlo Verdelli, che immagino sia direttore anche del sito del medesimo quotidiano. Ma andiamo per ordine. Venerdì Nino Materi, da par suo, ha raccontato sul Giornale l’assurdo decalogo dell’Agcom per combattere l’odio razziale, chissà perché rivolto ai soli conduttori tv. Esso prevede otto punti.
Conviene ricordarli: 1) lo stile di conduzione del giornalista o del presentatore; 2) il titolo dei servizi giornalistici, le immagini, le scritte in sovraimpressione; 3) le dichiarazioni degli ospiti e degli opinionisti in studio; 4) le contromisure del giornalista quando un ospite pronuncerà parole di odio; 5) le reazioni degli altri ospiti della trasmissione; 6) la condotta del pubblico in studio (come applausi o fischi); 7) i contenuti degli sms che, eventualmente, lo spettatore spedirà da casa; 8) la presenza di rappresentanti di migranti o donne, a garanzia del pluralismo. Una serie di punti che dovrebbero salvarci dagli hater televisivi.
Ma chi ci salva dagli hater della carta stampata? In particolare da Repubblica che associa Rete4 a supposti atti di razzismo?
Il sito di Repubblica all’interno del pezzo infatti titolava: «Quel faro acceso su Rete4». Si rimanda a una vecchia questione, riferita a due programmi che andavano in onda nel 2015 e che peraltro nessuno ha giudicato razzisti. Associazione chiarissima: c’è troppo razzismo in giro, il garante fa il decalogo, Rete4 sotto osservazione per il suo comportamento.
Si dà il caso che oggi lavori a Rete4. E che con Carlo Verdelli abbia avuto a che fare quando conducevo Virus su Rai2 e il nuovo direttore di Repubblica era allora qualcosa come il direttore delle news o roba simile, chiamato dal Conte Mascetti. Con Verdelli ebbi degli ottimi rapporti e nessuna difesa quando Matteo Renzi e i suoi scherani decisero di chiudere il programma nonostante i buoni ascolti. D’altronde Verdelli di lì a poco usci dall’azienda pubblica e comunque sapeva perfettamente che quel programma che metteva al centro della sua narrazione l’immigrazione allora incontrollata, la sicurezza allora sottovalutata, i sindacati poco sviluppisti, ebbene Verdelli capiva bene che Virus era poco compatibile con la voglia di condizionare l’informazione che la ventata renziana pretendeva. Non gliene faccio alcuna colpa. Chi lavora in Rai sa bene di essere sottoposto al venticello della politica e ai suoi cambiamenti.
Ma quanto al titolo del suo sito, una piccola responsabilità c’è. Come si fa ad associare un supposto faro antirazzista, che non c’è, a una rete televisiva che fa il suo mestiere con una linea editoriale, netta ma legittima?
Voglio credere, e sono sicuro, che un direttore di un grande quotidiano non possa seguire tutti i titoli di una sua controllata online. Ma la scusa mi è buona per ribaltare ai colleghi indignati del quotidiano romano l’accusa di razzismo. Sì, razzismo nei confronti di chi non pensa che l’accoglienza sia la soluzione per affrontare l’immigrazione incontrollata, per chi denuncia l’esistenza di nuove mafie di importazione che hanno soppiantato le nostre, per chi ricorda come la microcriminalità sia spesso di stampo straniero. Ecco, possiamo discutere decenni su chi abbia ragione. Ma possiamo usare la clava dell’Agcom per far fuori chi non la pensa come i giornalisti di Repubblica. Caro direttore, come conduttore televisivo secondo questo folle decalogo dovrei adottare contromisure se un mio ospite la spara grossa. Mettiti nei miei panni, dovresti anche tu adottare contromisure nei confronti del tuo collega che le spara grosse, che so invitarmi ad un contraddittorio o robe simili. Scherzo ovviamente.
È tutta una grande sciocchezza. Io mi becco il titoletto: faro su Rete4 riguardo al decalogo antirazzista dell’Agcom, come se fossi un adepto del Ku Klux Klan. E tu beccati questa mia assurda intemerata per un’accusa che non penso di meritarmi. E siamo pari. Come vogliono al Agcom.
Nicola Porro, Il Giornale 23 febbraio 2019