Reportage

Il reportage/1 – L’Albania e la minaccia di una nuova migrazione verso l’Italia

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La bandiera dell’Albania sventola su Piazza Scanderberg, la principale piazza di Tirana dedicata all’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg che nel XV secolo guidò la resistenza albanese contro i turchi-ottomani proclamando l’indipendenza dell’Albania. Il simbolo della famiglia Scanderberg è l’aquila bifronte di colore nero su sfondo rosso che campeggia anche sul vessillo nazionale, adottato ufficialmente dal 1992 dopo la caduta del regime comunista senza la stella a cinque punte.

Osservando la piazza dalla terrazza dell’Hotel International di Tirana – ai margini del boulevard realizzato negli anni Trenta dagli architetti italiani De Fausto e Brasini che porta all’università in stile razionalista -, si stagliano il campanile di una chiesa da un lato e il minareto di una moschea dall’altro, simbolo del crogiolo religioso che caratterizza l’Albania e della secolare convivenza in questa terra di diverse religioni. Da qualche anno il panorama della città è cambiato: non più i bassi edifici del centro cittadino, ma alcuni nuovi grattacieli si stagliano disegnando una nuova anima alla capitale albanese. Ciò che cattura lo sguardo non è l’Hotel Plaza né la torre del nuovo stadio, ma un’imponente struttura ricoperta da impalcature e una gru ai lati della piazza.

Sembrerebbe l’ennesimo grattacielo in costruzione se non fosse che i lavori sono fermi da parecchio tempo. È una metafora della nuova Albania dove stanno sorgendo decine di abitazioni e uffici di lusso nonostante lo spopolamento della nazione che, negli ultimi anni, ha perso mezzo milione di persone emigrate all’estero. Secondo Fatos Lubonja, uno dei principali intellettuali albanesi ed ex prigioniero politico per diciassette anni durante il regime comunista: “attraverso le nuove costruzioni si ricicla denaro sporco con prezzi fuori mercato nonostante lo spopolamento dell’Albania. Se dovesse scoppiare una bolla immobiliare sarebbe un problema per l’Italia perché ci sarebbe una massiccia emigrazione come negli anni Novanta, portando il paese a una nuova crisi”.

Nonostante la prigionia comunista, Lubonja si definisce un uomo di sinistra e ci accoglie nella sua residenza estiva sulle colline a pochi chilometri da Tirana dove il tempo sembra essersi fermato. È una delle tradizionali case di campagna albanesi, arredata con mobili e oggetti di varie epoche formando un crogiolo di stili: dalle sedie anni Settanta al mobilio rustico, alla credenza in stile orientale e ottomano. Sul tavolo all’ingresso c’è un libro di Heidegger in italiano, in salone una copia della biografia di Nietzsche, “è una biografia del pensiero di Nietzsche, che è diverso”, precisa Lubonja.

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In Italia sono stati tradotti due suoi libri Intervista sull’Albania. Dalle carcere di Enver Hoxha al liberismo selvaggio e Diario di un intellettuale in un gulag albanese. Lubonja ha un rapporto stretto con il nostro paese: “da noi si dice che ‘se vuoi governare gli albanesi, devi manipolare gli occidentali’, in tal senso Edi Rama è un abile promoter del suo governo e ha contatti in tutta Europa”. Lubonja conosce di persona Rama e il suo tentativo di screditare chiunque critichi l’operato del governo come un media “Kazan” (spazzatura) ma non ha remore a denunciare un sistema in cui “c’è una triangolazione di potere tra il mondo politico, economico e il narcotraffico” e aggiunge: “in Albania mancano i sistemi immunitari tipici della democrazia, il potere è in mano a bande, c’è un’economia instabile e non ci sono prospettive per il futuro.

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