Tutti ormai sanno delle condizioni imbarazzanti della situazione politica in Francia. Condannati ad avere un presidente della Repubblica che non sarà mai in grado, almeno fino alla scadenza del suo mandato tra due anni, di trovare un premier che abbia una maggioranza in Parlamento. Una trappola per topi, dal punto di vista istituzionale. Ma pochi sanno della grande fragilità dei conti pubblici di quel Paese. Quest’anno chiuderanno con deficit doppio rispetto a quanto sarebbe previsto dai trattati e pari al 6,2 per cento: si è dovuto ricorrere all’aumento del debito per pagare gli stipendi pubblici. Il debito, di conseguenza, ha superato i 3.200 miliardi (circa 400 miliardi in più rispetto all’indebitatissima Italia).
Il tutto condito dal fatto che non è stata approvata la loro legge finanziaria. I giornali tedeschi hanno ironizzato: per i francesi è più facile ricostruire Notre-Dame che presentare un preventivo di bilancio. È chiaro che i mercati hanno subito cercato di prendere qualche precauzione. Gli interessi sui titoli di Stato francesi sono saliti e c’è chi sta iniziando a vendere Oat parigini (le loro obbligazioni pubbliche) per comprare Btp romani. Roba da non credere.
La Francia, però, negli anni ha costruito una grande linea Maginot finanziaria. Può crollare, come è successo durante la guerra. Ma per il momento tiene. Durante le turbolenze si rivela efficace. Permette loro di comprare tempo. In qualsiasi altro Paese europeo, solo metà delle cose che stanno avvenendo a Parigi avrebbe causato una fuga dei capitali ingente. Come avvenne in Grecia e in Italia nel 2011. La loro linea Maginot sono le banche domestiche. L’Eba, l’autorità bancaria europea, ha appena pubblicato dei dati molto interessanti. Eccoli. 526 miliardi del debito francese sono in mano alle banche francesi, contro i 250 che detengono le banche in Italia e Spagna, o i 120 in Germania. Il che vuol dire che il sistema-Paese, insieme a quello bancario, non si mettono a speculare contro se stessi. I contribuenti francesi sono messi molto male, ma si lavano i panni sporchi in casa. Non si tratta certo del mercato perfetto. Una banca dovrebbe calibrare il rischio che prende investendo così tanto su un solo debitore, e per di più così mal messo. È un insegnamento per il nostro governo.
Bene incentivare l’acquisto di debito da parte dei risparmiatori italiani, ma ben più importante è non mollare i centri decisionali degli investimenti del nostro risparmio gestito a chi ragiona per nazionalità e non per mercato. Il conservatorismo finanziario francese passa per tre pilastri: SocGen, Bnp Paribas e Crédit Agricole. Il nostro?
Nicola Porro per Il Giornale
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