È stato più facile far cantare Gianni Morandi durante una solenne e ufficiale celebrazione per il 75esimo anniversario del Senato della Repubblica che accogliere alla Scala Paolo Conte. La cerimonia, se si può chiamare tale, è stata affettuosa e nostalgica, ma con una abbastanza inquietante (senza nulla togliere alla spontaneità di Ignazio La Russa che stava al centro dell’aula con il microfono in mano, presentando Morandi con il cameratismo proprio di Amadeus) distrazione dalle forme. La forma nelle cerimonie è tutto. E risultava anomalo che al posto dei banchi del Governo vi fossero le chitarre dell’orchestra di Morandi.
Impeccabili e imperturbabili (se non educatamente atterriti), Mattarella e Meloni hanno assistito alla metamorfosi di La Russa che, per essere più alla mano (ma era un giorno di celebrazione, e il prete, anche il più confidenziale, non diserta l’altare) ha rinunciato al suo scranno, mentre quattro illustri storici, dai banchi della presidenza, hanno recitato i loro interventi stando seduti.
Era tutto autentico. E sopratutto l’umano ed emozionato Morandi che, a partire da Gianfranco Fini e dalla Ronzulli, e da Renzi e Casini, ha ottenuto applausi per una canzone poco confacente al luogo e alla circostanza: “Fatti mandare dalla mamma”. A un certo punto sembrava una festa di compleanno (il mio, che sono nato l’8 maggio).
Alla fine, il Senato è stato per più di un’ora come Sanremo. Ed è vero che Mattarella a Sanremo è stato, ma forse non si aspettava di ritrovarselo al Senato: pregevole dunque il concerto ma forse non adatto il luogo, anche se si poteva pensare che, vista la somiglianza, a interpretare Morandi fosse Maurizio Lupi.
Vittorio Sgarbi, 8 maggio 2023
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