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Il sindaco del Fiorentino fa lo sgambetto ai ristoratori

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di Beatrice Nencha

Quando pensavamo di “aver visto cose che voi umani” non potreste nemmeno immaginare, un fan della Zuppa, Matteo Gozzi, ci ha regalato l’ennesima perla tra i provvedimenti “creativi” in tema di misure di contrasto al Covid-19. La singolare ordinanza, emessa dal sindaco del Comune di Borgo San Lorenzo in provincia di Firenze, azzera con effetto immediato ogni speranza di tornare a quel poco di normalità che, da lunedì prossimo, consentirà agli italiani almeno la gioia di poter consumare un pasto al ristorante (solo se all’aperto e solo fino alle 22). E ai ristoratori, provati da mesi di chiusure forzate, di poter tornare, anche se non tutti e solo parzialmente, a lavorare.

Il divieto di stazionamento

Un diritto, quello al lavoro, che la Costituzione mette alla base del nostro ordinamento e del patto sociale. Ma a Borgo San Lorenzo il primo cittadino, il piddino Paolo Omoboni, in solitaria riflessione ha deciso che le riaperture tanto agognate dei locali, associate a un sussulto di socialità, dovessero essere compensate, quasi a contrastare un eccesso di euforia collettiva, con una delle misure più coercitive che sia stata mai emanata nel Paese: il “divieto di stazionamento”.

Ora cosa si intenda per “stazionamento”, termine in uso ai burocrati ma ignorato dalla lingua italiana usata dalle persone nella vita reale (al pari del “distanziamento sociale”), è ovviamente da stabilire. Prendiamo per buona la definizione dal vocabolario Treccani, e mettiamo che sia assodato che con tale termine si identifichi  lo “stare fermo, sostare in un luogo”. La prima obiezione, posto che l’ordinanza si pone già in contrasto con l’articolo 18 della Costituzione (“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”), è quali siano le evidenze medico scientifiche utilizzate per definire che lo “stazionamento” in un posto determinato, da parte di un numero determinato di soggetti, peraltro già sottoposti al rispetto di distanziamenti e mascherine, possa configurare una potenziale minaccia di diffusione del virus e di “pregiudizio per la collettività”. Posto che all’aperto tutti gli studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il contagio è ridotto a un’ipotesi remota, specie durante la bella stagione.

Una giungla di norme e decreti

A leggere l’ordinanza firmata dal sindaco Omoboni, si resta basiti: il divieto viene imposto senza citare alcuno studio o ricerca medico scientifica a supporto, ma è la mera risultanza di una sfilza di atti normativi (Dpcm, già considerati illegittimi da vari tribunali, decreti legge, ordinanze regionali) emanati in questi tempi grami da una pluralità di istituzioni, enti locali, dipartimenti e via dicendo. Una giungla di norme amministrative, tutte genericamente rivolte alla “prevenzione”, che vanno però a comprimere, fino a negarli, diritti fondamentali dei cittadini. Diritti alla cui base esiste anche una “riserva di legge” –  tra cui la libertà di riunirsi liberamente e persino quella di uscire in strada, anche solo per scambiare due parole o fissare un panorama – e la cui esistenza si pone alla base di ogni ordinamento considerato democratico. Per il sindaco, però, tutto questo non ha molta importanza.

E forse per questo nella sua ordinanza di tre paginette, la Costituzione – che tutela robette come vari diritti inviolabili dell’essere umano, quindi non solo l’articolo 32, ovvero la tutela della salute intesa “anche” come interesse della collettività, oltre che come diritto dell’individuo – è assente in favore di tutte le altre sue tutele dal pomposo elenco.

In determinate vie, orari (dalle 16 alle 22) e giorni (dal 23 aprile al 15 maggio 2021), già da oggi gli unici che potranno “stazionare” a Borgo San Lorenzo, a pena di multe che vanno dai 400 ai mille euro oltre “alle sanzioni accessorie ivi previste”, saranno quindi “le persone diversamente abili e loro accompagnatori” e chi è in coda “per poter accedere agli esercizi pubblici ed agli esercizi commerciali legittimamente aperti nel rispetto delle distanze minime interpersonali”. Fatta salvo, bontà del sindaco, “la fruizione delle panchine pubbliche, nel rispetto del distanziamento e del divieto di assembramento”.

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