Siamo passati dalla promessa di un milione di posti di lavoro, all’assicurazione di bruciarne almeno mezzo milione. Ma c’è da scommettere che se questo governo dovesse continuare nella sua folle corsa economica potrebbe facilmente raggiungere il traguardo di un milione di posti di lavoro cancellati.
Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sono entrambi riusciti a creare un milione di posti di lavoro. Nel primo caso non si è contestato il numero, ma la loro «razza». Paradosso dei paradossi, si sostenne che Berlusconi aveva sì statisticamente aumentato il numero degli occupati, ma grazie alla regolarizzazione del lavoro straniero. Sempre sul filo del paradosso, la creazione di posti di lavoro da parte del governo Renzi. L’Istat ha certificato che tra il 2014 e il 2017 l’occupazione è cresciuta di un milione di unità: ma la crescita, per circa l’80 per cento, era dovuta a forme di lavoro flessibile. Il filo dell’apparente paradosso è che il centrodestra regolarizzi gli stranieri e il centrosinistra renda il lavoro meno rigido.
Ma in entrambi i modelli il paradigma non cambiava. Uno degli obiettivi del governo era quello di aumentare il numero di persone che la mattina si svegliano e hanno un’occupazione. Oggi sono in qualche modo impiegati poco più di 23 milioni di residenti in Italia, dunque una percentuale sulla popolazione ancora bassa, con poco impiego riservato ai giovani e donne.
È del tutto evidente che un governo liberale oggi si dovrebbe occupare, per mille diversi motivi, solo del tema lavoro. Ricordandosi che spesso l’intervento del governo rischia di fare più danni dei benefici promessi. D’altronde per un politico è molto più rilevante avere creato, magari con un sussidio o una legge ad hoc, un piccolo numero di occupati, che avere contribuito con la sua sapienza a non farne distruggere migliaia.
Ma questa, appunto, era la logica del passato. Oggi è tutto cambiato. Così come non è importante prima cucinare la torta, per poi distribuirla, con la stessa logica ora non è più importante aumentare l’occupazione, è necessario redistribuirla. Un tempo si diceva (sbagliando) lavorare meno, lavorare tutti.
Oggi si proclama lavorare poco, lavorare pochi. Le prime mosse di questo governo vanno esattamente in questa direzione. Con l’idea che «il lavoro deve essere buono», «il lavoro deve essere dignitoso» (chi non è d’accordo? E chi lo stabilisce?) si applica un modello per cui l’obiettivo del lavoro in sé non è più necessario. Con la falsa, falsissima idea, che ridistribuendo dai ricchi (i vitalizi, i pensionati d’oro e così via) si possa creare una rete per aiutare chi il «lavoro buono» non lo avrebbe.
In questa logica si possono perdere 80mila posti di lavoro in dieci anni, per impieghi che essendo «troppo a termine» non rientrano dell’ideale governativo. Altri 400mila sono sacrificabili per il lavoro domenicale. La Chiesa, una certa parte delle corporazioni dei commercianti e questo governo si preoccupano di vietare il lavoro domenicale, quando la concorrenza viaggia con un clic sulla rete.
Analogo pregiudizio porta alla folle cancellazione del trattato Ceta, che vale altri 10mila posti di lavoro. Siccome il Ceta funziona per il 90 per cento delle aziende italiane, ma non per una piccola quota di produttori di formaggi, si può sacrificare il tutto per il poco. Ovviamente la nostra è una stima per difetto. O i rischi che si corrono con i 20mila lavoratori dell’Ilva (tra diretti e indotto) a tirare la corda con i nuovi proprietari e con gli altiforni.
Non teniamo conto della perdita di occupazione del settore giochi. Ma quelli per Di Maio (non da solo per la verità, ma in buona compagnia di tanti opinion leader) sono come gli spacciatori. In sintesi. Per i passati governi si poteva discutere della loro capacità di avere raggiunto gli obiettivi che si erano prefissati. Per quello attuale c’è da augurarsi che il sogno della decrescita, della produzione ridotta, della gassificazione dell’acciaio, della generica dignità del lavoro fatta riducendolo, della chiusura delle frontiere non si realizzi.
Avremo un popolo molto «dignitoso», ma senza occupazione. Che blocca il Ceta per tutta Europa poiché i canadesi non hanno incluso la dop dell’aglio di Voghiera (peraltro favoloso), che ha chiuso i contratti a termine perché troppo precarizzanti e che la domenica si potrà guardare la partita in famiglia e la mattina potrà andare a messa. Ecco una bella Italia in piena decrescita. Mica tanto felice.
Nicola Porro, Il Giornale 15 luglio 2018