L’insediamento di Javier Milei alla Casa Rosada, dopo ottant’anni di peronismo, rivela quanto Ludwig von Mises ha sempre tenuto a sottolineare: alla fine sono le idee, quelle giuste, a muovere il mondo. Proprio in una lezione al Master in Economia della Scuola Austriaca presso la Universidad Rey Juan Carlos di Madrid, nel febbraio del 2021, Milei aveva precisato che la decisione di entrare in politica rappresentava il compimento di una già popolarissima battaglia culturale da lui intrapresa anni addietro, convinto che una politica senza cultura è priva di sostanza, ma che una cultura senza un risvolto politico rischia anche lei di essere sterile, di votarsi a una forma di “cerebralismo”, per ricordare un’espressione dello scrittore Dino Frescobaldi.
Oltre alla preparazione scientifica – Milei è autore di 16 libri, 52 saggi accademici e oltre 500 articoli – il leader argentino ha mostrato quel coraggio, raro ma determinante in politica, che serve per armonizzare natura e storia: demistificando lo stato in quanto veicolo della spoliazione istituzionale, e al contempo puntando hic et nunc il dito contro le sanguisughe kirchneriste che per più di 16 anni hanno saccheggiato impunemente il paese. Le idee piantate dagli austriaci sono così diventate per gli strati più ampi della popolazione e soprattutto per i più vulnerabili, tangibili ed entusiasmanti. “Chi salirà sulle barricate per una riduzione delle tasse del due per cento?” si chiedeva Murray Rothbard, nella convinzione appunto che le idee della libertà debbano si illuminare la mente, ma anche scaldare il cuore.
La situazione in Argentina
Giunto al redde rationem, il governo entrante si è trovato dinanzi una situazione disastrosa: un’inflazione del 7% settimanale, un tasso di povertà al 45%, un 10% di indigenti e un’economia in recessione dal 2011. Quindi in piena stagflazione. Le prime misure annunciate dal ministro dell’Economia Luis Caputo, tuttavia, hanno dato l’impressione che il governo volesse mettere in moto il piano motosega con il freno a mano tirato. La riduzione dei ministeri (da 18 a 9), dei segretariati (da 106 a 54), dei sottosegretariati (da 182 a 140), dei sussidi ai settori del trasporto e dell’energia; l’abbassamento al minimo dei trasferimenti dallo stato nazionale alle provincie; l’eliminazione del farraginoso sistema d’importazione attuale (Sira) e la sospensione delle opere pubbliche, rappresentano passi importanti nella giusta direzione.
Anche la svalutazione, avvicinando il tasso ufficiale (da 400 a 800 pesos per dollaro) a quello di mercato (circa 1000 pesos per dollaro), pur non essendo ottimale, passa il taglio. Ma non sono mancate alcune misure di segno opposto: fra cui il raddoppio dell’assegno universale per i bambini, l’aumento del 50% della tessera alimentare e l’incremento chirurgico di alcune aliquote – pensiamo al ripristino dell’imposta sul reddito per la quarta categoria di lavoratori, alle maggior ritenzioni sulle esportazioni, all’impuesto PAIS sulle importazionib- che farebbe ricadere il 40% dell’aggiustamento fiscale sul settore privato.
La causa finale di ogni riforma economica, va sempre ricordato, non è né il raggiungimento del pareggio di bilancio né la riduzione dello spread, ma l’apertura di nuovi spazi alla funzione imprenditoriale, per natura creativa e coordinatrice. Ovvero: liberare manodopera, risorse naturali e capitali da quella che Max Weber chiamava la “gabbia d’acciaio” politico-burocratica, per renderli nuovamente disponibili agli agenti economici nell’ambito della cooperazione sociale. Curare il disavanzo fiscale aumentando le tasse, scriveva Rothbard, “equivale a curare la bronchite di qualcuno sparandogli”.
Il decreto pro commercio
In tal senso, il “Decreto di Necessità e Urgenza”, annunciato dal presidente ed entrato in vigore il 29 dicembre, abrogando oltre trecento leggi che ingessano il commercio interno ed esterno – la legge sugli affitti, la legge sull’approvvigionamento, la legge sulla trasparenza dei prezzi e sulla concorrenza (ley de góndolas), la legge sullo sviluppo di fornitori ed acquisto di prodotti argentini, la legge sulla promozione industriale, la legge sul corso forzoso, etc. – e introducendo altrettante modifiche, soprattutto quella relativa all’articolo 958 del Codice Civile e Commerciale, che relega le norme legali ad un piano inferiore rispetto alla volontà delle parti espressa nei contratti, rappresenta el cambio de rumbo che los argentinos de bien stavano aspettando.
Un cambio di rotta storico, intrapreso da un vero leader della libertà, esempio per il mondo intero. Negli ultimi giorni, inoltre, Milei ha sottoposto al congresso una ley omnibus che fra le altre cose propone di privatizzare ben 41 imprese statali. Le critiche non si sono fatte attendere e Milei ha fatto presente che, nel caso in cui il parlamento dovesse rifiutare la sua iniziativa, “indirà un plebiscito”. È chiaro, tuttavia, che il leader argentino deve perseguire le riforme strutturali con radicalità, anche al costo di inimicarsi i suoi stessi ministri e consiglieri. L’Argentina ha bisogno dell’“intransigente” Ludwig von Mises, non del “socialista di mercato” Oskar Lange, e questo implica non imbrigliarsi in misure pragmatistiche che, volendo replicare il mercato – sempre più svelto e perspicace di qualunque legislatore centrale – confondono gli operatori.
Riprendendo una classica tesi di Leonard Read, Milei deve entrare nell’ottica di “premere il pulsante”, abolendo de golpe tutti gli ostacoli alle attività produttive. Quando un sabato, 19 giugno 1948, Lucius Clay, comandante militare delle forze americane in Germania, venne a sapere che Ludwig Erhard, senza preavviso, avrebbe abolito praticamente tutti i calmieri sui prezzi ereditati dai nazisti nel 1936, convocò immediatamente quest’ultimo nel suo ufficio. “Signor Erhard, i miei consiglieri mi dicono che lei sta commettendo un terribile errore”, disse Clay, riferendosi ai vari “zar dei prezzi” (Galbraith, ma non solo). Al che Erhard rispose: “Non li ascolti, Generale. I miei consiglieri mi dicono la stessa cosa”. Sicché Erhard continuò per la sua strada e nel giro di pochi giorni, ripristinato il libero sistema dei prezzi e rimossi pressoché tutti gli ostacoli alla produzione, le merci tesaurizzate riapparvero improvvisamente sugli scaffali, i mercati neri scomparvero, gli impianti di produzione rifornirono i magazzini di scorte e la concorrenza, finalmente libera di sortire i suoi effetti, iniziò a diffondere una maggiore prosperità per tutti. Fu l’inizio del Wirtschaftswunder, il miracolo economico tedesco.
Lo scoglio dell’inflazione
Come Erhard, che accompagnò le sue misure di liberalizzazione con una chiara riforma monetaria, Milei dovrà affrontare di petto anche il problema dell’inflazione. Ciò richiede innanzitutto il congelamento dell’offerta di moneta lato sensu– le passività, remunerate (Lelics e Pases) e non (base monetaria), della banca centrale e i depositi creati ex nihilo dal sistema bancario (chirographis pecuniarum, nella terminologia dello scolastico Luis de Molina); la chiusura della banca centrale come organismo di regolamentazione finanziaria e creditizia; l’abolizione del controllo cambiario e la liberalizzazione del mercato delle divise eliminando così la “carenza” di dollari (attualmente sottovalutati), l’iniqua politica di razionamento che favorisce i commercianti amici della casta politica e consentendo ai tassi di cambio di fissarsi d’accordo con i rispettivi poteri d’acquisto; garantire la convertibilità al tasso emergente, esigendo alle banche commerciali e a tutte le agenzie (private) di conversione di mantenere sempre un coefficiente di riserva del 100% sui depositi a vista ed equivalenti.
L’assenza di quest’ultima misura, vitale per un’economia di mercato, portò, nel dicembre del 2001, il ministro dell’Economia Domingo Cavallo ad istituire, di fronte a una generale perdita di fiducia dei depositanti, il “corralito”, limitando i prelievi a 250 dollari a settimana e ad abbandonare, in definitiva, il piano di convertibilità da lui stesso ideato sotto Menem nel 1991. Senza un prestatore di ultima istanza, un sistema bancario a riserva frazionaria è destinato a crollare come un castello di sabbia.
Milei, non fermarti
Con il suo decretazo e la sua ley omnibus Milei ha mostrato per molti versi un mirabile coraggio, ma non può fermarsi qui. Il pulsante va ancora premuto, e fino in fondo. La situazione rimane delicata, piena di insidie e solo seguendo i criteri del verum e del bonum la strada può spianarsi. Come scrisse Thomas Jefferson, anche lui un libertario divenuto presidente, in una lettera a suo nipote, Peter Carr, il 19 agosto 1785: “Anche se non puoi vedere, quando fai un passo, quale sarà il successivo, segui la verità, la giustizia e la rettitudine, e non temere di essere condotto fuori dal labirinto nel modo più semplice possibile. Il nodo che pensavi fosse gordiano, sarà sciolto davanti a te.” ¡Delenda est leviathan, viva la libertad carajo!
Jesús Huerta de Soto, Philipp Bagus e Bernardo Ferrero