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Il totalitarismo del politicamente corretto che ci rende tutti uguali - Seconda parte

Che tutto questo non spaventi è ciò che più mi meraviglia, per non dire: sconvolge. Vi vedo la lunga marcia del totalitarismo, che, da arma micidiale, che distrugge i corpi, diventa il virus letale, che distrugge le menti: dal Lager e dal Gulag al ‘politicamente corretto’. Scriveva Hannah Arendt, nelle Origini del totalitarismo, «L’ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni esterne dell’esistenza umana né al riassetto rivoluzionario dell’ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana |…| È in gioco la natura umana in quanto tale». Certo la ‘natura umana’ non  è un dato ontologico ma il precipitato di tradizioni, di costumi, di modi di pensare secolari  e tuttavia tradizioni, costumi e modi di pensare sono diventati ormai, come si diceva un tempo, una ‘seconda natura’, modificabile non con operazioni chirurgiche ma con la longue durée.

Tra il totalitarismo come regime e il totalitarismo come egemonia del pensiero unico c’è una differenza enorme: la stessa che passa tra il potere e l’influenza, tra il comando che si avvale degli strumenti della violenza fisica e la persuasione che ottiene la conformità con le parole. Al totalitarismo materiale non si sfugge, a quello spirituale sì (nessuno impedisce di fondare partiti o periodici alternativi) sicché ogni assimilazione è assurda. Ciò non toglie, però, che ci sia da aver paura di quanti vedono nell’eguaglianza ‘totalitaria’ l’angelo sterminatore del Male che in millenni di storia non si è finora riusciti a debellare. «Lasciateci un po’ di malizia e di cattiveria», si sarebbe tentati di dire. «lasciateci rallegrare vedendo una hostess che avrebbe potuto fare la mannequin e voltare lo sguardo da un’altra parte se ci passa accanto una che avrebbe potuto fare la controfigura della soprano Ada Gallotti nel film Racconti d’estate (1958) di Gianni Franciolini, quella che il suo partner  erotico Aristarco (Alberto Sordi) chiamava, non affettuosamente, Moby Dick. Il male che abbiamo dentro di noi non potrebbe essere il peperoncino che rende più saporito il minestrone della vita?

Dino Cofranscesco, 22 giugno 2019

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