Cosa lascia l’epoca Merkel
La divergenza politica è amplificata dalle conseguenze che la visione iperschierata in tema di diritti provoca sulla struttura di poteri dell’Unione e sui rapporti fra le nazioni. La Commissione, incoraggiata dalla quasi unanimità ideologica, ha molto allargato il proprio campo d’intervento oltrepassando il perimetro economico e spingendosi, con l’argomento dello Stato di diritto da difendere, su terreni, come l’educazione o la giustizia, di tipica pertinenza delle legislazioni nazionali. Ne è scaturito un forte incremento di conflitti che crea all’Ue un generale problema strategico e inoltre pone i popolari in una posizione lontana da quella – congenita e fruttuosa per anni – di mediazione e di equilibrio fra le varie sensibilità.
L’epoca Merkel è finita e ha lasciato un segno negativo su molti fronti: partito tedesco in rotta, identità popolare svilita e confusa, strategia economica in difficoltà (durante lo scontro Usa/Cina il mercantilismo a tutti i costi non quadra con la sicurezza affidata agli americani), Unione frammentata e rissosa. Ora si riaprono i giochi, la vecchia linea è da aggiornare (se non da cambiare) e la partita d’avvio è il congresso Cdu di gennaio. La posta, di enorme valore, è una nuova sintesi politica: i termini dell’equazione strategica – dagli sbandamenti dell’economia post-Covid alla confusa marginalità dell’Europa sullo scacchiere mondiale – sono complessi e probabilmente non saranno decisi solo all’interno del partito popolare: i partiti conservatori e nazionalisti, che finora il Ppe ha snobbato o spregiato, hanno la chance, nel momento in cui la strategia loro contraria è fallita, di far pesare la propria visione.
Antonio Pilati, 11 novembre 2021