Non fai in tempo a prendere atto, con sollievo, delle donne che alle olimpiadi rivendicano la loro genetica per poter gareggiare senza interferenze, che già ti devi pentire: due pugili maschi ammessi nei tornei femminili dal Cio, il comitato olimpico che è di manica larga, troppo larga rispetto alle federazioni di settore. Un tunisino e uno di Taiwan, perché la scemenza conformistica è globale, già estromessi a causa degli elevati livelli di testosterone, per farla corta in quanto maschi, totalmente, inequivocabilmente maschi. Troppo maschi.
Ma come si dice? Lo spettacolo deve continuare e le olimpiadi francesi sono lo spettacolo del queer in chiave di potere, l’ideologia a metà tra affari e spettacolo che giustifica se stessa, legittima se stessa in quanto inclusiva. Inclusiva in soldi. Non sono servite le polemiche degli anni scorsi con le conseguenti squalifiche di questi picchiatori uomini irragionevoli, non sono serviti i dubbi, le cautele, il senso di realtà che dovrebbe sempre prevalere: si impone la follia dell’autopercezione, io sono quello che mi credo di essere o pretendo di essere e se non mi si asseconda la metto sul nazionalismo teocratico, dico che è un boicottaggio dei poteri forti contro il mio Paese. Follia nella follia: il tunisino genderizzato sciovinista in nome dell’Islam che i travestiti li fa volare dai tetti.
Ma non c’è niente da fare, con la pazzia woke non si discute, non si ragiona. A costo di danni potenzialmente micidiali. Perché passino, se proprio vogliamo adeguarci all’ipocrisia imperante, passino i barbuti, i nerboruti che corrono in vasca o sul ghiaccio del pattinaggio artistico: lì, almeno, nessuno si fa male. Ma ammettere uomini a pestarsi con donne è criminale: un cazzotto da maschio a femmina non è meno devastante se sotto il guantone c’è una manona smaltata. Lo spettacolo deve continuare, ma questo rischia di essere uno spettacolo macabro, una esecuzione in diretta. Ed è davvero vergognosa la trafila, ancora una volta, di commentatori servi e farabutti che ce la mettono tutta per difendere l’indifendibile.
Viene da chiedersi a cosa si sia ridotto questo nostro mestiere, e, attorno ad esso, questo mondo che si fa più inabitabile di giorno in giorno. Dove la logica? Dove la dignità del reale, il rispetto per la verità ultima, ovvia, incontestabile? Questa non è più umanità, se l’umanità è la koinè di quanti provvisti di ragione e questa non è più olimpiade, non è più sport. È una propaganda sordida, miserabile, disposta a sacrificare sull’altare del conformismo ideologico e affaristico vite umane. Perché le pugilesse non si ribellano? Non lo sanno che rischiano la vita? Sono convinte, alla Rocky, di spuntarla anche contro avversari insostenibili? O il loro coraggio si ferma tra le quattro corde del quadrato, oltre le quali ammutoliscono? Forse queste sportive dovrebbero ricordare l’esempio del più grande di tutti, Muhammad Ali, che ad una vita di scontri sul quadrato affiancò una vita parallela di scontri sociali, confessionali, politici. Disposto a perdere tutto, alla ghettizzazione, perfino alla galera pur di non tacere. Queste che fanno? Salgono sul ring pronte a farsi spaccare la faccia e magari accoppare per non contraddire la marea montante dell’irresponsabilità da pecore matte?
Vedi un po’ dove può arrivare questo mondo sconvolto, dove l’unica coerenza rimasta è di non avere coerenza (e tanto meno vergogna): le mille declinazioni, anche isteriche, per lo più isteriche, in difesa delle donne, fino alla criminalizzazione di uno sguardo o un apprezzamento, la bufera implacabile inesausta del metoo, certo vittimismo carrierista femminile che prospera su una pretesto o un commento inopportuno… e poi le mandano al macello sportivo, legalizzato, o perfino fuorilegge, contro picchiatori che vogliono ingannare la genetica. Se un uomo pesta una donna è, giustamente, doverosamente, un verme (e non va perdonato: va schiacciato, sia ben chiaro), ma se un uomo che si pretende donna massacra una donna gli va data una medaglia, perché così si è deciso alle olimpiadi tartufesche del criminalmente corretto. Politico tanto, corretto per niente.
In scienze sociali, ad ogni azione non corrisponde una reazione uguale e contraria ma un impulso nella stessa direzione: legittimando la barbarie dell’accanimento sproporzionato, sessualmente insostenibile, cosa impedirà a uomini vigliacchi e feroci di maciullare le compagne, o le prede, rifugiandosi nell’alibi dell’autopercezione fluida? E come faranno i tribunali a sanzionarli a quel punto? Sarà lecito, sarà sufficiente rilevare che un pestaggio di strada o di camera è cosa diversa da uno nel quadrato di un’arena? Ma le botte sono le stesse, ma la violenza non ne esce ridimensionata, al contrario: qui si tratta di picchiatori professionisti, che combattono per sopprimere. Già abbiamo avuto casi di pugilesse in trauma cranico e con le ossa della faccia polverizzate ad opera di avversari diversamente donne. Che si aspetta? Il funerale sul ring? Ma sì, anche quello fa spettacolo e lo spettacolo deve continuare. Speriamo almeno che queste atlete si ribellino, che rifiutino di salire sul ring come per un macello annunciato. Perché una cosa è certa, nessuno in caso le difenderà, saranno solo cenere di animali sacrificati al più terrificante dei Moloc.
Max Del Papa, 31 luglio 2024
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