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Il Venezuela può diventare la nuova Libia

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Il Venezuela presto come la Libia, con una guerra civile alle porte che sta spingendo la nostra intelligence a predisporre in gran segreto piani di evacuazione per oltre 500 mila residenti italiani. E se la storia condanna l’ex presidente francese Sarkozy per il caos in Libia, Donald Trump si gioca tutto in Venezuela, con il rischio di ripetere il grande errore delle primavere arabe di Obama, avallando l’autoproclamatosi presidente Juan Guaido’ (appoggiato dai circoli esoterici internazionali e massone lui stesso) in una eterna lotta di potere tra Stati Uniti, Russia e Cina nel nome sempre del petrolio.

Ma lo Stato latino-americano può essere una bomba atomica anche per le cancellerie europee. Con una presenza così massiccia di connazionali, il governo italiano dovrebbe ritagliarsi un ruolo centrale, ma in politica estera il trio Conte-Salvini-Grillo ha posizioni contrapposte. Tralasciando il vice premier Di Maio per il quale in Venezuela c’è Pinochet (famosa la sua gaffe del 2016), il ministro degli Esteri Moavero Milanesi balbetta, Conte ‘auspica’ soluzione e Salvini e’ ritwittato dallo stesso Guaido’. Appoggiare un colpo di Stato significa aprire scenari in paesi a rischio dove chiunque si può proclamare Presidente. L’unica via è il dialogo per arrivare a nuove elezioni e costringere Maduro, che ha i militari dalla sua, innanzitutto a ridare il giusto peso all’opposizione.

Peccato che a favorire il dialogo non si sia battuto Papa Bergoglio, da sempre a fianco dello zar di Caracas, nonostante i consigli che gli ha sussurrato il Segretario di Stato Parolin, già Nunzio in Venezuela. Gli Usa continuano a ripetere gli errori del passato, per cui si fomentano le piazze, ma per Trump è anche un modo per distogliere l’attenzione dai suoi troppi problemi interni. Maduro andava ‘arginato’ facendo leva su reti diplomatiche, sindacati, dissidenti politici, rifugiati all’estero e con una controinformazione sulla rete. A Washington si è preferito distruggere l’economia venezuelana, imponendo sanzioni per cui è diventato impossibile qualsiasi scambio internazionale, favorendo così la corruzione dilagante e il mancato sviluppo del settore privato. Il Venezuela, prima riserva di petrolio nel mondo, seconda di gas e grande produttore di coltan, di cui sono fatti anche gli iPhone, e di oro, è un paese ricchissimo. Da qui gli interessi degli Stati Uniti, a cui si accoda la posizione dell’Unione europea, così come ha fatto drammaticamente per Libia e Siria.

Neanche l’OEA (Organizzazione degli Stati Americani), in mano al filo-Usa Luis Almagro, uruguaiano, è riuscita a far votare a maggioranza Juan Guaidó come Presidente del Venezuela, per cui solo 16 paesi su 35 erano d’accordo. Tanto più che Russia e Cina hanno già venduto armi a Maduro per fronteggiare un’eventuale invasione americana e Putin ha garantito appoggio aereo e jet dotati di super missili a gittata in caso di attacco Usa. Un filo conduttore pericoloso, a dimostrazione ancora di più che il tema energetico non va verso la strada dell’energia pulita ma sarà dipendente ancora a lungo dagli idrocarburi. Erdogan e Putin, amici di Maduro e amici di Berlusconi. Quest’ultimo sul Venezuela ancora tace. Chissà se invece ha gradito le dichiarazioni pro Guaidó del vice presidente del suo partito, Antonio Tajani. Forse in Italia non solo il governo è spaccato. Di Maduro, novello Che Guevara, non c’è davvero bisogno.

Luigi Bisignani per Il Tempo

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